Inviato da Enrico Rotelli il 30 Maggio, 2008 - 03:55
Al laboratorio de "La lokanda" mi sono iscritto perché:
a) volevo continuare a studiare teatro (vedi Debutto - tre...)
b) perché volevo lavorare in gruppo. Scrivo sempre da solo. Anche se sono comunicati, le cose le faccio mie e le scrivo. O forse non è nemmeno così, però è così che mi sentivo: un po' troppo solitario. Lo sono sempre stato. Si vede che cominciava a pesarmi.
Inviato da Enrico Rotelli il 30 Maggio, 2008 - 03:51
Io ho ricominciato a fare i corsi di teatro perché mi si era seccata la vena. Che è lo stesso motivo per il quale ho aperto il blog. Poi ho continuato perché, quando lavoravo a Teleromagna, già prima di registrare cominciavo a sudare. Certe gore... E mi impaperavo fisso. E il cameraman sbuffava. All'inizio, per registrare 20 secondi rifacevo 6, 7, 8 volte. Una volta, fuori dal Pio Manzù, dovevo registrare il lancio del servizio.
Inviato da Enrico Rotelli il 30 Maggio, 2008 - 03:45
Io non l'ho mica capito cosa stavo facendo. Sul palco, intendo. L'ho capito più o meno l'altro ieri, passato lo stordimento. Anzi, passato tutto. E' stato più o meno come buttarsi dall'aereo. Cioè, non proprio uguale uguale, ma più o meno sì. Fai il corso, in questo caso le prove. E con te ci sono altri che faranno la stessa cosa. Ti studi per bene la parte, le battute, i movimenti, le entrate, le uscite. Cioè, più o meno le procedure.
Inviato da Enrico Rotelli il 30 Maggio, 2008 - 03:39
La notte prima dello spettacolo volevo guardarmi Turnée, di Salvatores. Mi riconoscevo tanto in Fabrizio Bentivoglio, che interpreta l'attore scoppiato, quello che al momento di dire la prima battuta non muove un muscolo, nemmeno su suggerimento. Piantato sul palcoscenico come gli alberi della scenografia. Un'ora prima, all'ultima prova, ero uscito dalla prima scena scordandomi la battuta più lunga. E lo stesso ho fatto nella VI scena. Quei secondi interminabili erano più assordanti di un altoparlante che grida "Kikko, coglione". Sul copione ho scritto, poi, "Non uscire".
Inviato da Enrico Rotelli il 21 Aprile, 2008 - 01:34
Il grattacielo di Rimini è stato, all'epoca, il simbolo della modernità. Almeno, negli anni '60. Poi è diventato il simbolo della decadenza: gli appartamenti costavano relativamente poco, rispetto alla bolla speculativa che ingloba la città. E questo perché il "clima" non era dei migliori: prostituzione, droga ecc, ecc. Con i costi bassi, si sono insediate numerose famiglie extracomunitarie, e quindi è diventato un luogo un po' di "frontiera". Oggi, un'altra metamorfosi per questo obelisco ventoso di un'ottantina di metri: è diventato per qualche giorno il simbolo del teatro a Rimini.