Debutto – Due: Più o meno

La Lokanda, saggio di fine laboratorio della compagnia teatrale Korekané

Io non l'ho mica capito cosa stavo facendo. Sul palco, intendo. L'ho capito più o meno l'altro ieri, passato lo stordimento. Anzi, passato tutto. E' stato più o meno come buttarsi dall'aereo. Cioè, non proprio uguale uguale, ma più o meno sì. Fai il corso, in questo caso le prove. E con te ci sono altri che faranno la stessa cosa. Ti studi per bene la parte, le battute, i movimenti, le entrate, le uscite. Cioè, più o meno le procedure. Vabbé, non ti dicono "afferri il moschettone, lo agganci al cavo d'acciaio, arrivi al portellone, lo afferri i due lati con le mani rivolte all'esterno - senno ti pianti lì -, salti". Non te lo dicono, no. Ma più o meno è così. Che ne sai di cosa succede dopo? Se conti - milleuno, milledue, milletre, shock - oppure no... Se la battuta ti viene o vai in black out, se te la danno o la saltano a pié pari... Niente. Non lo sai. Ti attacchi alla parte e alle prove: la procedura.

La sera prima sei nervoso, ti senti tutto teso, magari con una fifa matta di piantarti lì, immobile, davanti al portellone, mentre gli altri aspettano che tu faccia quello che tutti hanno studiato ore e ore e ore, sentendoti gli occhi addosso, che non li vedi ma se li vedessi ci leggeresti solo uno "sbrigati coglione, fai quella cazzo di mossa" stampati a caratteri cubitali nelle pupille. E vanno così le ore prima, mentre scorrono, a ondate di disagio un po' più forti e un po' più lievi, fino all'imbarco. E poi tutto si calma. Giusto quel tremolio da muscoli tesi. Poi salti giù. Nel buio illuminato dai fari. E non capisci quel che fai, segui le procedure, più o meno. E basta. Mentre ti sale l'entusiasmo. Si, lo so, sembra una forzatura. Ma se non vi siete mai lanciati con il paracadute, tocca stare a fidarsi.

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