Suonate i Campanelli del grattacielo e salite in teatro: cinque appartamenti per altrettante storie di drammatica quotidianità

Il grattacielo di Rimini è stato, all'epoca, il simbolo della modernità. Almeno, negli anni '60. Poi è diventato il simbolo della decadenza: gli appartamenti costavano relativamente poco, rispetto alla bolla speculativa che ingloba la città. E questo perché il "clima" non era dei migliori: prostituzione, droga ecc, ecc. Con i costi bassi, si sono insediate numerose famiglie extracomunitarie, e quindi è diventato un luogo un po' di "frontiera". Oggi, un'altra metamorfosi per questo obelisco ventoso di un'ottantina di metri: è diventato per qualche giorno il simbolo del teatro a Rimini. E cinque appartamenti altrettanti prosceni. Ovvero, "Campanelli. Teatro al Grattacielo". Davvero uno spettacolo. Che verrà replicato fino al 24 aprile. I biglietti sono già esauriti, mi dicono, ma non disperate: credo ci sarà una o più repliche per la notte rosa. E quindi prenotatevi in tempo, perché ne vale la pena.

Cinque appartamenti, dove vengono vissute storie parallele, e quindi cinque sceneggiature, cinque allestimenti - regie di Chiara Cicognani, Mirco Gennari, Loris Pellegrini, Gianluca Reggiani, Davide Schinaia - per far entrare gli spettatori nelle case dei protagonisti. Un'immersione totale sia in questo simbolo cittadino, negli occhi di tutti ma visitato da pochi, e nel teatro, scortati da muti steward e accompagnati da una cuffietta, una via crucis per drappelli da 11 in cinque storie "tra speranza e disperazione, una discesa nell'inferno della quotidianità". Via crucis per le storie raccontate, non certo per le messe in scena, beninteso. Le quali, insieme al lavoro degli attori, delle compagnie coinvolte e dell'organizzazione - è un progetto Compagnia del Serraglio - se rappresentano lo stato dell'arte di una città, si può dire che sia decisamente benestante e in ottima forma.

Il filo conduttore è la quotidianità, a quel che dietro le porte si nasconde, finché si può, all'occhio, ma non alle orecchie, in quell'enorme alveare. E i suoni, accanto ai dialoghi, connettono queste cinque storie in parallelo, dando il senso della simultaneità, mentre le cinque mandrie degli spettatori vengono traghettate con sincronica precisione tra un piano e l'altro, dal decimo al 28esimo. Storie di famiglie, ora in commedia, ora in dramma, ora in tragedia, ora assurde, matrimoni falliti che riducono la casa ad un pied a terre occasionale o a scena del delitto, linde celle di paranoiche vite appassite o di lisergiche esistenze al capolinea.

Noi maschietti ne usciamo decisamente male, da queste storie. E sì che i drammaturghi, a parte Paola Vannoni, sono uomini: Francesco Gabellini, Loris Pellegrini, Davide Schinaia e Vincenzo Terlizzi. Sarà questo periodo storico, non so, ma siamo decisamente messi male: viveur da prostitute, incapaci di prendere in mano la situazione non appena si rovescia, succubi di sesso, di potere o di droga, interessati "alla figa" e al limite alla Juve, mariti insensibili, un po' felloni, compagni inaffidabili. Insomma, siamo una catastrofe. Mi fermo qui per non rovinare con parole inadeguate un lavorone, bello, divertente, che lascia molto allo spettatore, in piacere, in immagini e in pensieri. Ora che ci penso, tutto si è svolto nel silenzio del pubblico, manco un applauso si è potuto fare. Mi rifaccio qui, nel mio appartamento: clap, clap, clap, clap, clap.

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