Separazione consensuale

Il mio inseparabile si è separato. Da me. E sono di nuovo single. Diciamo. Lo ero anche prima, ma era piuttosto familiare tornare a casa ed essere accolto da un urlo stridulo. Un saluto, presumo. E la mattina, uscendo, sentire dalle scale un urlo stridulo. Un altro saluto, presumo. Davvero un che di familiare. Di una famiglia sull'orlo della separazione. Il mio ex inseparabile si chiama - o si chiamava, non so - Marlow. Senza la "e". Tutti lo confondevano con il detective di Chandler. E invece no, è il capitano che risale il fiume Congo in "Cuore di Tenebra", di Joseph Conrad, alla ricerca dell'agente della Compagnia commerciale belga Kurtz. Un bel viaggio. Se leggete Colpo di Luna, di Georges Simenon, capite che è piaciuto anche a lui. Tanto da farci un libro. Copiato no, parecchio simile si può dire, però. O è meglio liberamente adattato? Massi, grandemente appropriato, ecco.

Nonostante sia uno dei più bei personaggi della letteratura, nonostante Conrad, nonostante il film Apocalipse now di Francis Ford Coppola, che è l'adattamento bellico - vietnamita, tutti si ostinavano a confondere Marlow con il detective. Non credo che lo infastidisse questa confusione. Ogni volta che lo chiamavo non rispondeva. Nemmeno quando lo chiamavano gli altri, veramente. Forse perché il suo vero nome è Agapornis Roseicollis. Detto inseparabile. A me questa confusione un po' mi infastidiva. Sai che palle tutte le volte spiegare la differenza a questo o quella. Per colpa di una "e". Marlowe non so nemmeno se è mai andato in Africa. Marlow, il capitano, invece sì. Chissà se lungo il fiume Congo ci sono gli Agapornis? Comunque sono originari dell'Africa. Magari per questo non capiva quando lo chiamavo. Ma adesso non fa più differenza. Non c'è più. E non mi dispiace.

Il nostro non era quel che si dice un buon rapporto. Ci sopportavamo, più o meno. Se mi avvicinavo alla gabbia cominciava a stridere e a gonfiare le piume, con la testa protesa in avanti: la posizione d'attacco. Poi svolazzava per tutta la gabbia. La posizione di fuga. Quando era piccolo, d'età intendo, aveva un segno sul becco. Mica era la sua livrea, è che saltellando per scappare arrivava lungo sul trespolo e sbatteva il becco tra le sbarre. E sbatti oggi e sbatti domani, gli rimaneva il segno. Per un po' ho pensato fosse miope. Meno male che aveva il becco grosso, se no sbatteva con la faccia. Che era peggio, dai. Dopo un po' ha capito che non era il caso di fare così e si adattava ad appoggiarsi sul mio dito. Ma solo se era all'angolo e non c'era più nessun posto dove andare. Allora appoggiava prima una zampa e poi l'altra, mi guardava di sottecchi e stava buono sul dito, finché lo specchio dello sportellino era occupato dal mio braccio. Quando lo specchio si liberava, Marlow decideva cosa fare: o mi svolazzava sopra la spalla, dietro, dove non lo potevo raggiungere, oppure sopra la credenza. E strideva. E poi cagava. Una palla. Mangiava, strideva e cagava. E basta. Per tutta la casa. Un po' poco per un rapporto. Magari era le stesse cose che vedeva fare a me. Con altri toni, ma le stesse cose. Beh, io non cago in giro, ma solo perché non sono un uccello. Per il resto di mondezza ne produco. In tutta la casa.

Un'amica mi ha spiegato che era colpa mia. Non le cagate in giro, la mancanza di rapporti. Non l'avevo abituato al contatto. "Devi abituarlo un po' alla volta", diceva. Ma non mi sembrava, Marlow, tanto interessato. Un anno quasi due di stridii, posizioni di combattimento e fughe precipitose a stamparsi contro le grate. Insomma, ci sono segni che prima o poi si decifrano.

Quando mi allontanavo, dondolava sulla sua altalena, qualche volta la faceva cadere apposta e poi strideva. Io la tiravo su, ci giocava un po', dopo qualche ora la faceva cadere di nuovo. E strideva. Una palla. Poi ho usato un moschettone e l'altalena non l'ha fatta più cadere. Dondolava, mangiava i semi, ghiottissimo di quelli di girasole, la mattina faceva un po' di casino berciando da solo, un bel po' di più se mi avvicinavo. Un anno quasi due così. Vivono mediamente 12 anni, qualcuno 20... figuratevi che prospettive. Credo fosse l'unico inseparabile che voleva separarsi.

Era quasi buffo, se non berciava tanto. Ma berciava, eccome. Berciava, beccava e cagava. Mi ricordava una tipa, sempre pronta a raccontare di sé davanti a un calice di vino, un piatto di qualcosa, ovunque. E poi svolazzava via, a scagazzare altrove. Beccava, beveva e berciava. Io ascoltavo, bevevo e poi ascoltavo e poi bevevo, innestando il pilota automatico: sorriso di rappresentanza, testa snodata pronta ad annuire o a scuotere. Come i cagnolini sul lunotto della macchina, tanti anni fa, prima che inventassero i gadget cinesi. E aspettavo che decidesse cosa fare, se invitarsi a casa mia o svolazzare via a riempirsi la noia con qualcos'altro. Come ieri sera. Solo che ieri sono andato sul pesante, vino prima e Oban poi.

Mi piace l'Oban. Sia il whisky sia la cittadina dove lo producono. L'ho vista, 4 metri sopra il mare quando c'è la bassa marea, con una specie di colosseo sopra la collina, voluto nel 1880 da un signorotto locale, per far lavorare la gente alle prese con una brutta crisi. Mica è un circo, è solo un muro con arcate intorno a un giardino. Fatto così, per far lavorare i poveri. Mentre Keynes non era ancora nato. E nemmeno Roosevelt.

Beh, tornando alla tipa berciante, 'sto giro per annuire il vino non bastava più, sono dovuto passare all'Oban, con un secchio d'acqua ghiacciata. Perché si beve così il malt. Le altre volte, perché ormai è un'abituée, non avevo bisogno dell'Oban. Lo bevo giusto quando ho voglia di stare con me stesso: un sorso di malt, una sciacquatina d'acqua, e resta il gusto sulle papille, depurato dalla violenza dell'alcool. Piacevole. Ma forse anche stavolta avevo bisogno di stare tra me e me mentre questa berciava per la terza volta la storia della laurea della sorella, in loop, messo in pausa solo dal suo sorseggiare il vino. Inarrestabile.

Le altre volte si andava a vino. Tanto. Perché la tipa il vino lo regge, eccome. Ne stende parecchi di uomini, anche se non è in serata buona. L'ho conosciuta così, una sera, alcuni anni fa. Tavolata per caso, compleanno o non so bene cosa, e ci siamo trovati a parlare e bere. Forte. Ci capivamo. Sai quando sei intrappolato da degli sconosciuti e in mezzo alla mandria due si annusano, come i cani, e attaccano a scodinzolare? Beh, quella sera abbiamo cominciato a scodinzolare e non abbiamo più smesso di dimenare la coda. Per anni. Passavamo mesi senza vederci, poi ci si ribeccava a roundabout creek e si finiva a scodinzolare. Più o meno ubriachi. A lei piace fare un po' di scena: femme fatale, bella e maledetta. Maledetta dalla sfiga, maledetta dall'incomprensione. La persona giusta nel posto sbagliato, ecco. Secondo lei. E chi sono io per contraddirla. E' bella così, anche se il suo personaggio piano piano degrada, sotto i magli ripetuti di se stessa, degli anni, delle delusioni. Ferina, si agita inarrestabile svuotando bicchieri e rovesciando parole, lei di qua, lei di là, gli altri dall'altra parte. Tutt'altra parte. Qualche volta rovescia pure il vino. Anzi, rovescia pure se stessa, dopo qualche bicchiere. Una fatica a tenerla su. Ma è tutta scena. Gli piacciono le dive alla Bette Davis, devastate dall'alcool. Ciascuno ha i suoi modelli. E i suoi gusti. Ci ho messo un po' a capirlo, e non mi è nemmeno dispiaciuto che fosse così. A me piacciono le donne strane, le forti bevitrici, quelle un po' segnate da loro o dalle loro storie. Ad altri piacciono le veline, tutte a posto e ordinate. A me no. Credo che non ci sia niente di più bello, in una donna, dei segni del tempo che passa. I panneggi delle smagliature sul seno, ad esempio. Oppure le cicatrici. O la plasticità stanca di un pancino che, nonostante le diete, non riesce a dissimulare lo scorrere dei giorni. Son gusti.

Non ho capito subito che tipa era, quella volta che abbiamo cominciato a scodinzolare. Non stava in piedi. Sembrava una comica, tanto eravamo fuori. Perché neanche io ero sano. Ma qualcuno doveva pur far finta di essere meno ubriaco. Io che la tenevo su e questa scivolava giù. La ritiravo su, tentavo di prendere la chiave e questa scendeva. La tiravo su, tentavo di mettere la chiave nella toppa e questa scendeva. La tiravo su, infilavo la chiave. E questa scendeva. Mezz'ora per riuscire a mettere un piede tra battente e portone. Buona da mettere a nanna, ho pensato barcollando. Dov'è il bagno, mi fa appoggiata al muro. Di là, le faccio. E dopo un minuto patapum, un casino pazzesco. Ok, stanotte si dorme in terra, ho pensato tirando fuori il sacco a pelo, prima di sparire nell'altro bagno. Macché, torno in camera ed era lì, già nuda, come se nulla fosse stato, a chiedermi cosa avevo da bere.

Una volta, nei suoi cascamenti, ha rovesciato pure la gabbietta di Marlow, rovinandogli addosso con bicchiere e tutto. Un lago. Marlow berciava dentro la gabbietta, lei sghignazzava dall'altra, il divano non poteva parlare ma era parecchio incazzato per il vino. Dappertutto, dallo schienale in giù. Pure sul muro. "Cos'è quella" ogni tanto chiedono gli ospiti indicando la macchia sul muro. E io gli dico "Marta". "Ah". E poi cambiano discorso. Di solito mi chiedono come si chiama Marlow. "Come il detective?" No, eccetera, eccetera, eccetera.

È che a Marta piace rovesciare il vino in giro. Attacca a parlare, parlare, parlare, che a lei non la capiscono, che questo è stronzo, che anche l'altra è stronza, son tutti stronzi. E poi dopo la litania degli stronzi, mi chiede se le voglio bene, perché "te lo sai che io ti voglio bene, vero che lo sai?" Si, Marta lo so. "Perché tu mi capisci, tu sei il solo che mi capisce. Perché gli altri sono stronzi". E riattacca in loop. Solo che tra un loop e l'altro passa dalla sala alla camera, sbattendo contro la porta, e le casca il vino per terra. Non tutto, quel che resta dopo averlo bevuto. Poi guarda il bicchiere quasi vuoto e si rialza, va in cucina e se ne versa ancora. Se no stappa una bottiglia. E si va avanti così. Poi alla terza bottiglia attacchiamo a litigare. Sempre. Perché non ho sense of humor, dice. E non la capisco. Sono stronzo come gli altri. "Io ti voglio bene, lo sai vero?!", ma non la capisco. E poi casca nel bagno. E stappa un'altra bottiglia. E poi caschiamo nel letto. Ma dopo quattro bottiglie, già è una comica trovare un preservativo, figuriamoci aprire l'involucro. E allora fine della bevuta. Si attacca a russare.

Beh, ieri sera niente vino per terra. E niente ruzzoloni. Niente scene da Bette Davis. Per me, un Oban, grazie, con un secchio d'acqua. E dopo il terzo racconto della laurea della sorella un altro, grazie, con un secchio d'acqua. E al quarto stronzo un altro Oban, grazie. Con un secchio d'acqua. E poi mi sono rotto il collo a furia di annuire e l'ho lasciata lì. L'Oban è un'ottima scusa. Anche per barcollare fino a casa. E mentre salivo le scale ho sentito il solito urlo stridulo, il benvenuto di Marlow. Ho pensato che forse voleva scagazzare un po' per casa. "Dai, fatti una camminata pure tu", gli ho detto aprendo la gabbietta. E sono caduto nel letto. Stamattina però non ero stordito. Solo che sentivo che c'era qualcosa di strano in casa. E nel farmi il caffé ho capito cosa: il silenzio. Marlow non c'era più. E' agosto, dormo con le finestre aperte, e a Marlow non ho tarpato le ali. Dopo un po' l'ho sentito berciare. Era su un tetto, nell'isolato vicino. L'ho chiamato per un po', ricevendo la stessa risposta ottenuta in un anno quasi due: niente. Poi ho pensato: beh, non era poi così difficile instaurare un rapporto positivo. Magari potevo anche risparmiami i soldi dell'Oban.

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Commenti

Di Conrad ti consiglio il racconto "La Laguna" che trovi nella raccolta "Racconti inquieti". Approfitto: sono un giovane scrittore casertano e vorrei un tuo parere critico e sincero su alcuni racconti che ho pubblicato sul mio blog: www.ilmiocapitano.blogspot.com Grazie. Aspetto e spero.