In morte di Silvano Cardellini

Silvano Cardellini e Sergio Zavoli

L'ho incontrato per invitarlo a tenere una lezione di giornalismo, eravamo un pugno di ragazzini, qualcuno per età, tutti per esperienza, frequentavamo la “palestra” del settimanale Il Ponte e di lui sapevamo che era “il” cronista politico di Rimini. Silvano si negò. Ci rimasi male, perché non capivo, come avrei fatto, invece, anni dopo. Ci sono cose che non si insegnano, si assimilano o non si assimilano con il mestiere, nel corso degli anni, che non possono essere rinchiuse in un corso per ragazzini. Silvano non faceva il maestro, non metteva in piazza il suo fare, lo faceva e basta. E il non essersi seduto in cattedra era la metafora del suo modo di essere giornalista, anonimo custode della cronaca politica riminese, ruvido osservatore della vita amministrativa della città, che non trovava nelle magiche parole della firma il senso del suo lavoro, come invece parecchi di noi. Quando anni dopo ho cominciato, un po', a conoscerlo, ho capito il senso del suo rifiuto. Silvano stava là, nella sua stanza – che non da nemmeno sulla piazza - e da lì osservava con distacco e riminese disincanto la vita della città, che scorreva nelle dichiarazioni o negli annunci, scegliendo con la sua critica serrata le parole dei tanti attori che si affannano a fare la loro comparsata. Era lui il banco di prova delle notizie che davi, che fossero dal palazzaccio di fronte o da qualunque altra stanzetta del Potere in subaffitto. Se la notizia c'era – e valeva per la comunità – la dava, sfrondata da quei fronzoletti che più o meno ci si mette, per spuntare il titolo o il rigo in più. Alle conferenze stampa era lui che sbirciavo, per vedere, nel suo taccuino, se c'era un senso in quel che gli si propinava o no. E il suo taccuino rispondeva, con quegli scarabocchi fatti di qualche parola, presa tra quelle buone, e i tanti i disegnini che segnavano l'aria fritta volata in quella mezz'ora. E poi aspettavi la sua sentenza: un “Cioccia” a qualche botta un po' più forte, un silenzio o un “Va bene” se qualche cosa c'era, oppure, temutissimo, un “Kikko, non c'è la notizia”, sussurrato piano, col tono che suonava come paternale rimprovero, per un eccesso di prosopopea al quale, sapeva, non potevo sottrarmi per ordini di scuderia. E il giorno dopo si leggeva il responso. Insegnava così, ho realizzato negli anni, non è venuto al corso, e per me è stato un bene: potevo costruirmi in quel rapporto fatto di segnali, che sconfinava nel personale in quelle poche battute che lasciava al telefono, dopo quel “Sì” eternamente scocciato con il quale rispondeva agli annunci di notizia: se c'era tempo chiedeva di come andavano gli amori, se no metteva giù nella fretta di chiudere le pagine. E a me bastava, per sentirmi vicino a uno a dei pochi che considero Maestro. L'abbiamo visto spegnersi come un lumicino, testardo e disincantato testimone di questa città fino alla fine, lucido guardiano del buon senso finché ha potuto, fioca luce di parole che lascia Rimini un po' più in balia della sua riminesità.

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Commenti

Complimenti, Kikko. Con poche pennellate hai tratteggiato perfettamente la figura di Silvano, un maestro per tutti quelli della nostra generazione. Lui non parlava, insegnava con l'esempio. Nonostante le sue apparenti spigolosità e ritrosie, in tanti avevano capito la sua grande umanità, la sua ricchezza interiore. E non sono quelle parole di circostanza che si dicono di fronte a chi non c'è più. Ci mancherà, tantissimo.
Ciao
Forc

Complimenti, Kikko. Complimenti davvero. Io che l'ho conosciuto, Slvano, che l'ho tanto frequentato negli anni giovanili, fino a una decina d'anni fa, io che l'ho vissuto, posso dirti che nelle tue parole c'è dentro tutto, Silvano. Lo chiamavano Uccellino, i miei figli e così l'ho sempre chiamato. Abbiamo condiviso le grandi passioni, le illusioni di un garbino che continuerà a stordirci e a parlarci di lui. Vivo, scorbutico, essenziale, incorruttibile, dritto come il fuso che collega la terra al cielo. Non sarà sostituibile la sua penna, intinta nel sensibile inchiostro che pesca dentro un'anima tenera e tremante, profonda come gli abissi.
Inventiamo un premio da dedicare al lui: alla incorruttibile sensibilità della sua penna.
L'amicizia che ci ha legati in vita si prolunghi, rendendo imperituro il suo insegnamento.
mp

bello,complimenti.

Ciao kikko, hai detto tutto tu. Grazie. Molto bello.

"...un â??Ciocciaâ? a qualche botta un poâ?? più forte, un silenzio o un â??Va beneâ? se qualche cosa câ??era...sussurrato piano, col tono che suonava come paternale rimprovero, per un eccesso di prosopopea... Insegnava così, ho realizzato negli anni, non è venuto al corso, e per me è stato un bene..."

Domenica scorsa a Montefiore quando Berselli diceva alla piazza e a Sergio Zavoli - insistendo due o tre volte sul concetto - che oggi Silvano "ci guarda dal Paradiso dei giornalisti" (!)... ebbene, mi sono un po' "strimulita". Per quel poco che l'ho conosciuto, per dirla con le tue parole, Kikko, "come paternale rimprovero, per eccesso di proposopopea..." quella sera non sarebbe venuto, come non è venuto al corso...
Fra i tanti interventi pubblicati dai giornali riminesi, ricorso quello del collega Riccardo Fabbri del Corriere ("il mese di luglio porta male ai giornalisti; prima Marco Magalotti e Marzio Cesarini, quest'anno Silvano Cardellini"). Per il 2007, ragazzi e ragazze (me compresa), fate i dovuti scongiuri. Da sopra i suoi occhialini, S. avrebbe commentato, sussurrando piano: "Cioccia!"
ciao da Cristella

[...] Enrico Rotelli, padrone della casa di Kikko, gli aveva dedicato un post l’anno scorso. Invito a leggerlo, insieme al mio commento di allora. [...]