L'Isola del rock riminese che vuol cambiare insieme alla città
A Rimini il molo di levante è la passerella che porta la città dentro il mare. E' nato lungo per evitare che la maretta (o il mare grosso) da levante si incanali nel porto, offrendo una zona di relativa bonaccia agli scafi che da secoli imboccano il canale. Ma è anche, come qualcuno l'ha definita, la seconda passeggiata della città, che si ritrova qui, a braccetto o in solitudine, a godere del sole o della pioggia, dello sciabordio o del ruggito delle onde, passeggiando fin dentro l'Adriatico. Se avete visto "La Prima notte di quiete", di Valerio Zurlini, potete averne l'immagine più romanticamente vicina già nella prima scena. Se la percorrete quando urla la tramontana, riuscite a reincontrare il mare, da noi dimenticato dietro la teoria degli ombrelloni. Sopra la palata, prima del fanale di via rosso, c'è il Rockisland. All'apparenza era un casone di pesca, una palafitta sugli scogli che proteggono la palata, di quelli con la rete quadrata che cala sul fondo e ritmicamente viene issata per recuperare qualche pesce, come se ne vedono ancora oggi a centinaia lungo i canali romagnoli. In realtà, era un ristorante, il Belvedere, che chiuse i battenti non so quanto tempo fa. Li riaprirono un gruppo di ragazzi romani, che con Rimini c'entravano poco o nulla, persino nell'inventiva: e infatti trasformarono quel ristorante chiuso in uno dei luoghi che distinguono come pochi la città e il suo pubblico giovanile: il Rockisland.
Nell'anonimia dell'industria del divertimento, il Rockisland era qualcosa di diverso. Per tutti. Lontano anni luce dalla "Rimini Rimini" di Sergio Corbucci, dalla "Rimini" di Pier Vittorio Tondelli, e dall'altrettanto patinata - e irreale - Rimini, le cui luci che si estendono indistinguibili poco distante. Ci si dava appuntamento lì per passare la serata, ballando il rock di Dj Sabba, tanto scorbutico quanto coinvolgente sacerdote musicale, bere, intortare. Qualche volta anche avere fortuna. Si attraversava il buco nero del porto di notte per immergersi nell'isola del rock. Il solito rito di ogni sabato, solo tutte le sere. Lontani dalle disco per turisti, dai ristoranti per turisti, dai pub per turisti. Insomma, lontani dalla narcosi patinata dell'industria. Intendiamoci, non era un luogo d'elite e nemmeno piccolo. Anzi, quando era pieno c'era una bella stesa di gente, ma era diverso. E discosto quel tanto che bastava per selezionare le maree scaricate dalle cateratte delle città padane.
Era bello andarci, ma era bello anche solo passarci accanto, guardato dalla prua dei pescherecci. Alle cinque del mattino, quando la scritta Rockisland era spenta e il sole era una lampadina oscurata dal mare, il viavai intorno era di ragazzi che urlavano o smaltivano la sbronza camminando verso la città, dribblati dai dipendenti che facevano la spola sulla palata, carichi di sacchi dell'immondizia. Oppure prima, in piena notte, con la musica indistinguibile, soffocata dal motore, la gente in fila fuori orchestrata da "Tubbi", il buttafuori, coppiette che andavano nel cono d'ombra degli scogli, la marea danzante dietro le vetrate. O quando faceva furiano e il Rockisland era intabardato dentro, poche facce dietro le vetrate, col mare chiuso fuori che saliva e scendeva. Uno scorcio di familiare vita riminese, un ciao andando o tornando da un'altra libertà.
Cambiano le stagioni, per i locali, come cambiano le generazioni di clienti e o i gestori. E nell'Isola sulla palata non ci sono più andato con regolarità. Così, come si cambiano le abitudini e non c'è niente da recriminare. Ma farei fatica a vedere una Rimini senza il Rockisland, come credo che una Rimini senza Slego è un'altra città, un po' più povera o, come fosse una persona, monca di una falange. Questo lo sa anche la proprietà - Peo Pivi è il capofila - che ha rilevato l'isola del rock in cima alla palata. Lo sa a tal punto che, lui e il suo staff, hanno fatto una cosa strana, stranissima per noi riminesi, cacciatori di mattoni senza memoria e senza tanti riguardi, e che magari altrove è normale. Dunque, hanno detto in soldoni, il Rockisland è un luogo della città. Non è solo loro, ma appartiene all'immaginario collettivo. E mica perché lo si trova nelle cartoline da Rimini. E va ristrutturato. Bene, intanto lanciamo - con l'aiuto dell'Ordine degli Architetti - un concorso di idee, selezionando un nucleo consistente di studi di architettura locali e nazionali qualificati. Poi, insieme alla città, troviamo il modo per farlo vivere ogni giorno, non solo d'estate e non solo dalle 7 di sera alla 4 del mattino. E la città, già, un po' ha risposto. Il 1° dicembre ci sarà il primo sopralluogo degli architetti. Per l'occasione, il Paradiso, altro locale storico di Rimini, ha offerto ospitalità ai concorrenti, il Velvet Factory, struttura culturale nata per mano, tra l'altro, di Roberto Paci Dalò dentro al Velvet, altro storico rock club riminese creato da Thomas Balsamini, girerà un video documentale di questa "esplorazione". Poi si vedrà. Insieme.
Il tutto sta accadendo mentre un altro luogo - simbolo di Rimini, il ristorante Embassy, ha chiuso i battenti perché al suo posto nascerà l'ennesima palazzina con appartamenti, negozi ecc. ecc. In questo caso, però, non ci sarà nessun concorso di idee. Starà alla pietà di un architetto (o forse di un geometra) tenere a mente che dove si butta giù per riedificare, la malta teneva insieme mattoni e storie, memorie di persone, di lavoro, di una città che nasceva e cresceva insieme al turismo italiano. E all'intelligenza di un imprenditore tenerne in debito conto. Ma in questo caso, purtroppo, possiamo solo stare a guardare. E incrociare le dita.
Commenti
Cristella
29 Novembre, 2007 - 20:38
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Punto.
Ti fai un po' desiderare... ma quando posti, lasci il segno!