Palazzo Yacoubian: vita al Cairo oggi, "Le istruzioni per l'uso" di 'Ala Al - Aswani

Un vecchio palazzo in demolizione che, cadendo come a "a fette", svela nel suo crollo una geografia di stanze, oggetti, segni, colori, arredi che rivelano aspetti di vita di chi vi ha abitato. Ala al Aswani, dentista prima, ora scrittore, prende questa fugace visione di macerie, colta mentre attraversava Il Cairo, per basare la struttura di "Palazzo Yacoubian". L'edificio che ha ospitato i primi anni della sua professione diventa cornice del quadro di vite che l'autore elabora e ritaglia come tasselli, puzzle che comprende Cairo e l'Egitto.

Il tempo del romanzo è la vigilia della prima guerra del Golfo, ma la scansione del racconto si dilata con l'età dell'edificio, edificato da un ricco armeno nel 1934, raccontando la Cairo cosmopolita dell'epoca e, attraverso esso, l'evoluzione della città. Raccolto dallo scaffale di Mirco, il libro denuncia e promette elementi che, per fortuna, non lo esauriscono: "Un romanzo scandalo. Il fenomeno editoriale del mondo arabo", recita il ruffiano bollino adesivo, mentre il retro di copertina, attinto dalla recensione di Egypt Today, calca l'attenzione sulle parole "potere, corruzione, sessualità, ipocrisia, violenza, amore ed estremismo". Vero, gli elementi ci sono tutti, "copertinati" per vellicare l'interesse, ma nelle pagine si dilatano in normali scenari con i quali fare i conti nella vita, in grado di restituirci una visione più profonda di quella somministrata dai media quando inquadrano il Vicino Oriente: corpi dilaniati, volti ottusamente urlanti, bandiere e fantocci infuocati, sangue.

La Cairo di 'Ala Al Asrawi è un universo fatto di normale quotidianità, diversa per latitudini, longitudini, usi e parole, ma non per questo dissimile nella sostanza delle emozioni, pulsioni, debolezze e aberrazioni che costellano il nostro occidentale reticolo di relazioni quotidiane. Per cui, copertina e controcopertina vanno prese con le molle. Un po' meno l'assonanza con il palazzo de "La vita: istruzioni per l'uso" di Georges Perec - immediata, spontanea e non peregrina: l'autore ha studiato al Lycee Francais del Cairo, conosce certamente il membro dell'Oulipo - davvero vicina per l'idea di base, compresa la visione dell'edificio "smascherato" di un muro come una casa di bambole. Perec pone la mappa del palazzo e degli inquilini, anche passati, in appendice, Al Aswani si limita a ricordare l'immagine della demolizione. La narrativa poi li allontana: Perec è un architetto della struttura, un ragioniere della descrizione, un giocoliere delle parole, Al Aswani miscela le vite con tutt'altra elaborazione, con maggiore leggerezza. Racconta le persone sul solco di Naghib Mahfuz, il primo Nobel arabo per la letteratura scomparso recentemente - mi viene in mente "Vicolo del Mortaio" - ma devia decisamente verso un linguaggio più crudo, diretto come un autore americano - del resto, ha vissuto 3 anni negli States. Così come sono diverse le conclusioni che trae il romanzo. Per Mahfuz Dio è la sola ancora di salvezza dalla meschinità della vita, il resto è vanità e apparenza, destinate a crollare travolgendo l'intera esistenza di chi vi si è aggrappato.

Palazzo Yacoubian invece, fa i conti, oltre che con le debolezze umane, con l'uso attuale della religione. La quotidianità del vecchio "libertino" Zaki Bey el Dessouki, del giovane figlio del portiere Taha el Shazli, che insieme alla sua ragazza Buthayna el Sayed si affacciano alla vita adulta prendendo due strade diverse, di Malak il commerciante, di Hatim Rasheed, che si sdoppia nella pubblica fortuna di giornalista e privata vita relazionale dei gay - bar, del ricco Hagg Muhammad Azzam, che vuole sfondare nella politica senza pagarne il fio, è di relazioni che creano con sé stessi, gli altri, il denaro, il potere, il palazzo un tempo patrizio e poi decaduto seguendo l'evoluzione della città e dell'Egitto, si relazionano con le altre esistenze che animano o infettano le stanze attigue dell'edificio o quelle delle stazioni di polizia, delle aule universitarie, delle scuole coraniche, dei campi di addestramento terroristici, degli ovattati studi del Potere. Le vite del vecchio decadente, del giornalista gay, dei due giovani, dei trafficoni piccolo e grande, si muovono e si ribaltano una ad una in questo racconto costellato di "potere, corruzione, sessualità, ipocrisia, violenza amore ed estremismo ". Per quelli aggrappati alla più esile di queste parole, però, c'è la salvezza.

Palazzo Yacoubian, 'Ala Al - Aswani, Feltrinelli, 2006 (Imarat Yacoubian, Alaa Al Aswany, Cairo 2002)

Ps. Palazzo Yacoubian è diventato un film. E ha fatto altrettanto scalpore. Gabriele Romagnoli (quello di "Navi in bottiglia" e di altri interessanti libri), dopo aver intervistato l'autore qualche mese fa, è andato a vedere la pellicola a Parigi e racconta, su Repubblica (per il quale è editorialista e osservatore del mondo arabo), perché tante resistenze al film, soprattutto da parte di un centinaio di parlamentari egiziani.

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Commenti

gentile Rotelli, mi è molto piaciuto il suo articolo sul famoso libro di al-Aswani, in cui mi imbatto per caso solo ora. Quello di Palazzo Yacoubian è un caso sensazionale e insieme un po' deludente per lo smaliziato lettore che vi cerchi quanto promesso dal retro di copertina. L'analogia con la "vie mode d'emploi" ci sta eccome, sicuramente anche alla struttura narrativa del palazzo in trasparenza si deve il gran successo del libro, che ricalca in qualche modo, senza però replicarne la vivacità, la scrittura giocosa di Perec. Io sono un'arabista (che fortuna nevvero?) e ho letto il libro in arabo e mi sento di dirle che invece l'accostamento con Mahfuz è un po' ardito: l'arabo di Mahfuz è ricco e raffinato, il romanzo che lei cita per esempio (Zuqaq al-middaq, Il vicolo del mortaio) è una galleria d'arte, fattia d'immagini e lessico. Invece la lingua di 'Ala al-aswani è piuttosto piatta, gli aggettivi si ripetono (la pelle delle donne è sempre soffice, i capelli lucenti ..) e il romanzo a mio parere trae forza proprio dai tipi narrati, come Zaki al Dosouki, che con la sua nostalgia per l'Egitto d'antan è un vero mito! C'è da dire che un'altra cosa che rende il libro apprezzabile, con tutti i suoi limiti, rispetto a quel che si vede adesso in Egitto è la narrazione, il fatto che si narrano storie. Gli anni Novanta hanno isto l'ascesa di un'avanguadia autoreferenziale e piuttosto tormentata dalla quale al-Aswani prende visibilmente le distanze.

Grazie per i complimenti, gentile Maria Elena, per le conferme e per le "dritte": trovare spunti e traiettorie di lettura non è facile. Se poi non si conosce la lingua, come me, è ancora più facile incappare in assonanze nate da piacevoli ricordi di letture ormai lontane, che col tempo diventano lattiginosi. Un po' come "un bicchiere di acqua e anice". Spero in qualche suggerimento futuro, davvero gradito.