Harry Potter e il babbano disincantato

Vada come vada – e non sarò certo io a svelarlo - di una sola cosa si è certi e rallegrati: è finalmente finita la saga del Maghetto contro l'Oscuro Signore. Sette puntate voluminose, e oltremodo costose, alle quali, comunque, si è stati fedeli. Forse molto oltre ciò che poteva meritare questo mondo, man mano che la storia, soprattutto in questo “Harry Potter and the deathly hallows” si è dilatata, diluita, annacquata, cambiando toni e spessori tanto vorticosamente da dare credito a chi crede che la firma J. K. Rowling, alla quale si sono affidate tante ore e curiosità, sia davvero solo una sigla dietro alla quale si cela un fortunato marketing e relativo apparato editoriale, un cospicuo lavorio di editor e una potente campagna di comunicazione. Un marketing al quale comunque tenere fede, anche solo per il gusto di vedere Serena vestita da streghetta a cavallo di uno scopettone, a cancellare le tracce dei piccoli fans, in chiusura di libreria. E chiederle la domanda suprema dopo questa saga a puntate sulla crescita del cenerentolo di Privet Drive e della sua compagnia scolastica, ormai ben oltre le soglie della pubertà: alla fine, “consumerà” con Ginny o no? Malizia fuori posto nel regno dei ragazzi? Sì, lo ammetto, ma più che una caduta di stile è una rivolta alla pressione mediatica dell'attesa. E poi una fuga dallo stucchevole politically correct che impera soprattutto in quest'ultimo libro, nel suo girare a vuoto nel “meltin pot” della magia e nel suo cedere – per poco, per carità - al nazismo di Voldemort e alle sue leggi razziali. Questo volume è saturo, fino alla fine, di buoni sentimenti: il male è male e il bene - Harry e i suoi petulanti amici - sono il bene, lasciando attentamente il lavoro sporco della morte ai cattivi, ai comprimari adulti del maghetto e, infine, al caso. Anche troppo provvidenziale. Vedere crescere questi personaggi fin dal primo viaggio fuori casa, porta ad avere verso loro delle aspettative, anche solo la curiosità di vederli diventare “davvero” adulti. E invece no, non crescono. Eccetto Harry, forse: Hermione da saputella diventa petulante e dalla lacrima facile, aiutando Ron nella sua carriera di polipone, sempre ad abbracciarla ad ogni luccichio d'occhio, salvo incazzarsi quando qualcuno ronza intorno alla sorellina. Il piccolo Wheasley, a parte le timide avances con Hermione, non si decide ad emanciparsi dal suo complesso da eterno secondo e dalla presenza degli adulti che gli risolvano le cose, lasciandogli il gusto infantile del borbottamento e del broncio. Manco Draco si rivela all'altezza dei suoi desideri: tutti, alla fine, sono nel mondo rowlinghiano (us dis i sé?!) dei burattini dei due deus ex machina, dio uno, demonio l'altro, della magia. Entrambi, almeno questo, saldamente sul sentiero di una specie di magica laicità che in questo nostro mondo reale non ha più tanto spazio.

Mi ci ero affezionato, a Potter & co., non solo indulgendo alla mia gigioneria. In un periodo di stanca da lettore, è stato il mio unico gancio con la fantasia di uno scrittore, se escludiamo Scerbanenko e il suo noir milanese. E' stato divertente esplorare un mondo – di questo diamo atto alla Rowling – creato parallelamente al nostro. Definito, minuzioso, regolato da leggi e teorie da essere, alla fine, quasi credibile. E che ha il merito di lasciare, anche a chi è adulto, spazio per ricordare, ripensare, rivedersi nella propria evoluzione sui banchi della scuola, giorno dopo giorno in quell'istituto un po' speciale al quale, se togliamo ritratti magici e scale mobili, siamo stati iscritti anche noi, aurore di una vita adulta. Si chiede un po' troppo ad una serie di romanzi per bambini? Mah, non so, nessuno mi toglie dalla testa che Peter Pan mi racconta, ancora oggi, qualcosa della mia vita che potrei metter a fuoco meglio, se non mi fermo a guardare solo la riduzione animata di Walt Disney. Come del resto Alice nel paese delle meraviglie, ben più impegnativa lettura, davvero disseminata di Horcruxes di cultura e pedagogia. Per cui, forte della convinzione che la letteratura per bambini parla molto e bene a chi piccolo non è più, resto sulle mie per quanto riguarda la macchina editoriale, e alle sue leve sui ragazzi per spillare money ai grandi. Ed resto sulle mie pure sulla storia, nella quale ha fatto capolino un po' di tutto, James Bond in una rocambolesca fuga nell'unico capitolo un po' animato, i tre hobbit del signore degli anelli nella lunga – e diciamolo, noiosa - caccia ai tesori nascosti di Voldemort, Orwell e il ciberpunk mischiati sul controllo planetario delle parole, più qualche altra suggestione ormai svanita. Ma questa non è magia della letteratura. Anzi. E' la magia di un'idea – l'ho detto e ci son stato fedele 7 anni - che sposa però un'industria, la quale pensa a tutto, anche alle domande che chiunque si pone alla vigilia dell'uscita: ma 'sto Remì - stregone morirà o no? E seguendo il dipanarsi degli eventi, sorretti solo dal gusto di vedere come va a finire e di come i tanti tasselli, intagliati in sette anni, si vanno a incastrare, si chiude un attimo il libro e ci si chiede se è vero oppure è una favola la storia degli hacker che superano le difese della Gringott editoriale, per dare l'anteprima su Internet. Ma mettiamo, con indulgenza, che ci sia stata davvero un'incursione di hacker: resta il sospetto che siano stati solo degli utili idioti al servizio dell'ufficio stampa, visto che la storia è stata creata a prova di delazione. Leggere per immaginare. Ma il sospetto più angoscioso nasce con l'ultima riga, pagina 607: che per una saga conclusa, negli oscuri pensieri di una casa editrice, ce ne sia già un'altra in gestazione, pronta ad essere dilatata, diluita, “merciandalizzata” nel povero mondo dei babbani. Al quale appartengo a pieno titolo.

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Commenti

Continuo a ribadire che Harry Potter nasce come copia-furto di un'altra storia e poi montata a livello di marketing: non l'ho mai letto, quindi non posso dare un giudizio sullo stile di scrittura, ma la storia nasce da un plagio, oltretutto di un grande scrittore come Gaiman. Chi morirà, chi morirà? Alla fine mi è parso di capire che dei personaggi importanti non muoia nessuno, anzi addirittura Harry ha pure dei figli..

Ciao Cri. Ho letto il profilo di Gaiman su wikipedia, da quale delle sue opere c'è stato plagio?

He, qualche carattere si perde per strada: proprio i più bersagliati dal nazismo di Voldemort e co., una scelta un po' infelice... Ma che vuoi farci. Speriamo migliori nella prossima saga. Perché temo ce ne sarà un'altra...

Approposito di citazioni e suggestioni tue... L'altro giorno, per caso, ho messo le mani su un testo di Mordecai Richter... Prossima lettura. Bye

Eh, anche io. Infatti l'ho preso e los to leggendo. Sono solo a p. 49, ma mi pare moscetto...io spero in Nevil Longbottom, lo sai che è il mio preferito.

Carino il personaggio di Neville... ma non ti tolgo il gusto di scoprire come va a finire per il piccolo Longbottom. Sarei curioso di capire perché Longbottom l'hanno tradotto Paciok. Bah