Drums come true
Avrò avuto 13, 14 anni la prima volta che l'ho sentito, portato nell'etere da un deejay Rai, chissà chi, durante un programma che suonava una nuova musica da Londra, il reggae bianco. Io manco sapevo cosa fosse il reggae, Bob Marley forse faceva capolino sulla vespa di qualche fricchettone riminese, forse no, ed io stavo aggrappato alla radio ascoltando tutto quello che aveva dei ritmi strani, lontani “dalle note languide / di tutti quei cantanti / con le facce da bambino / e con i loro cuori infranti” (come diceva Finardi). Beh, bianca o nera che fosse, quella musica che parlava d'amore a una puttana, Roxane, cantata da una voce stridula, una chitarra e una batteria che entrava direttamente sottocute, non mi ha più mollato.
Sì, c'erano altri che ci provavano, gli Ub 40, stessa voce stridula con un apparato di strumenti che levati, ma niente a che fare con quel trio magico, che si era appropriato di un nome d'ordine per sovvertire l'esistente e creare uno nuovo ordine, musicale: The Police. Li ho seguiti nella loro traiettoria come potevo: cassette, di più no, niente concerto a Reggio Emilia, con carica della polizia annessa. Troppo piccolo. Però li portavo con me, anche addosso, nella pecetta nera cucita e scucita sui miei giubbotti militari, capendo poco delle loro parole. Del resto, non credo fosse la cosa che più mi piaceva, forse nemmeno la voce di Sting, che tanto ha furoreggiato a moti alterni, dentro e fuori la musica, fino al grande schermo.
Era la batteria quella che mi ha tenuto incollato al trio, quel tamburellare persistente sui piatti, il colpo secco del rullante o della cassa, le cui vibrazioni passavano dalla spina dorsale alla base del cervello, saturandoti fino a costringerti a saltare, un apparato ritmico messo in scena dal meno scenografico dei tre, Stewart Copeland, che introduceva gli altri due restando, nel palco e nelle foto, dietro, sostenendoli nella loro musica.
Chiusi i Police nel cassetto della storia musicale, Stewart ha continuato a pestare per il cinema, in coppia con Stan Ridgway, strascicata voce madeiniuesei dei Wall of woodoo, firmando il tema base della storia in bianco e nero di Rusty il selvaggio, visto nell'ora d'aria da aviere in un cinema fiorentino. L'ho perso d'udito, come molti in questi anni, ma ogni tanto mi chiedevo, riascoltando “Don't box me in”, o “Walking on the moon”, che fine avesse fatto questo folletto dinoccolato delle percussioni.
Finché non è scappato fuori in tv, maglietta del Lecce e bacchette, a un concerto di musica salentina, la notte della Taranta. E poi, venerdì sera, Stewart è riapparso a Longiano, prologo musicale di vent'anni di programmazione del Petrella, che pagava con la prima del suo tour in piazza la sessione di prove nel paesino romagnolo. Copeland pestava la sua batteria e faceva saltare bacchette a un metro da me, appoggiato al palco, mentre fissavo negli scatti l'autore di un'elettrica colonna sonora che ancora mi attraversa.
Commenti
Raf (non verificato)
19 Settembre, 2006 - 15:24
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E' proprio l'apparato
E' proprio l'apparato ritmico il segreto dei Police...
Con quei colpi di rullante battere...