“Dì a qualcuno che io sono qui”: un messaggio in bottiglia per i bambini nel carcere di La Paz.
Barbara Magalotti ha fatto l'educatrice volontaria nel carcere di La Paz, Bolivia. Per i figli dei detenuti, che vivono con i padri all'interno della struttura carceraria. Vivono lì, come detenuti, ma non scontano una pena: i figli seguono i padri perché le madri, rimaste senza compagno, devono sopravvivere e spesso abbandonano i figli. In questo girone – le guardie fuori, i carcerati dentro ad autogestirsi anche le regole - Barbara ha lavorato a un progetto della Pastoral Penitenciaria Catòlica de Bolivia, con padre Filippo Clementi, misurandosi con i problemi sia dei piccoli ospiti sia dei ragazzi di strada. Di questa esperienza ha tracciato un libro, “Dì a qualcuno che io sono qui” (edizioni Erickson, Gardolo (Tn) 2006 - ISBN 9788879469319 , prezzo 15 €), una bellissima testimonianza (potete sfogliarne qualche pagina in pdf) narrata a due voci, le sue: di psicologa dell'età evolutiva, attraverso le relazioni del progetto, e le lettere che inviava a parenti e amici, “una sorta di autoterapia”, “nelle quali rielaborare attraverso le parole scritte i miei vissuti”, “lettere che vorrei potessero dare voce a quella parte di umanità che è immersa nell'ingiustizia, nella solitudine, nella sofferenza, nell'indifferenza”. Il risultato è un toccante “messaggio in bottiglia” lanciato “a te che leggi, perché ascolti la voce di chi voce non ha”. Lunedì 17 settembre, alle 21, Barbara presenterà il suo libro in un barettino fuori Riccione, al lago di pesca sportiva Arcobaleno in via Murano 54. La cosa curiosa è che la presenterò io. Poi un po' di rock, blues e pop con il gruppo soul “Blue flame”. Questa è la mappa per arrivarci.
In attesa di emozionarvi con il libro, copio il racconto “Vigilia di Natale” di Eduardo Galeano (contenuto ne “Il libro degli abbracci”) dal quale Barbara ha tratto il titolo del libro. Bellissimo.
Vigilia di Natale
Fernando Silva dirige l'ospedale pediatrico, a Managua.
Alla vigilia di Natale, si fermò a lavorare fino a molto tardi. Già si sentivano i razzi, e i fuochi artificiali cominciavano a illuminare il cielo, quando Fernando decise di andare via. A casa sua lo aspettavano per festeggiare.
Fece un ultimo giro per le scale, per assicurarsi che fosse tutto a posto, questo stava facendo quando sentì dei passi che lo seguivano. Passi di cotone: si voltò e scoprì che uno dei piccoli malati lo seguiva. Nella penombra lo riconobbe. Era un bambino che stava da solo. Fernando riconobbe il suo viso già segnato dalla morte e quegli occhi che chiedono perdono o forse chiedevano permesso.
Fernando si avvicinò e il bimbo lo sfiorò con la mano: “Dillo a...” sussurrò il bambino “di a qualcuno che io sono qui”.
Commenti
Enrico Rotelli
12 Settembre, 2007 - 09:55
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Non so a voi, ma ogni volta
Non so a voi, ma ogni volta che rileggo l'ultima frase del racconto, mi viene da piangere.
davide (non verificato)
14 Settembre, 2007 - 09:17
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Hai ragione Kikko, la frase
Hai ragione Kikko, la frase è molto toccante. Penso che ci siano molti bambini che chiedono "aiuto" a noi "grandi" Noi molte volte non ce ne accorgiamo e questo è molto grave.
Cristella (non verificato)
16 Settembre, 2007 - 09:11
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Kikko, farete un'altra
Kikko, farete un'altra presentazione, oltre a quella del 17 settembre? Ho un altro impegno già preso, quella sera, e mi dispiace non esserci.
Enrico Rotelli
16 Settembre, 2007 - 14:58
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Ciao Cristella, non so dirti
Ciao Cristella, non so dirti i programmi di Barbara, glieli chiedo. Ma dopo lunedì non credo sarà così pazza da affidarmi un'altra presentazione.