Dei lavoratori e dei clandestini: lettera aperta ai parlamentari Emma Petitti e Tiziano Arlotti

Emigranti arrivati a Ellis Island, New York

Cari Emma e Tiziano,

come forse avrete appreso da Fb o dai giornali, io e altre 14 persone potremmo usufruire, forse per tre mesi, della cassa integrazione. Come del resto sta accadendo a migliaia di altre persone. Vorrei però sollecitare il vostro interesse su un dettaglio secondo me di non poco conto. Inizialmente l'azienda voleva licenziarci. E questo avrebbe messo alcuni di noi, stranieri, nella scomoda condizione di perdere il permesso di soggiorno. Ovvero diventare clandestini.

Sto parlando, per capirci, di una donna ucraina, da 12 anni in Italia, con due figli grandi, che vanno nelle nostre scuole, uno credo alle medie, una in un istituto superiore. Un'altra vive qui da nove anni, ha un figlio di otto. E ce ne sono altri, più o meno, nella medesima situazione, familiare e di permanenza.

Per una di queste persone l'inizio delle trattative per evitare il licenziamento collettivo ha coinciso con il rinnovo del permesso di soggiorno. Per cui ha avviato le pratiche del permesso ufficialmente come dipendente. Per un pelo, come si dice da noi.

La maggior parte dei miei colleghi è straniera, più o meno tutti hanno figli che vanno a scuola qui, studiano la nostra lingua, la nostra storia, la nostra geografia. E come loro, chissà quanti si ritroveranno in questa medesima situazione in Italia. Rischiare di qualificarli civilmente come clandestini, non solo per come nell'immaginario collettivo è percepita questa parola, mi fa orrore.

E sono certo che lo fa anche a voi.

Confidando nelle vostre possibilità legislative, vi saluto caramente

Enrico Kikko Rotelli

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