L'ultima marcia del tenente Roberto

Charles Peguy ritratto da Egon Schiele

Ieri sera Roberto Gabellini ha presentato la sua ultima fatica letteraria, L'ultima marcia del tenente Peguy (edizioni Ares). Ammiro chi ha la forza e la costanza necessaria a completare un'opera, ma le rime, le strofe non sono mio territorio. Lui, sornione, mi ha ribattuto al telefono: «guarda che è un lavoro di prosa poetica». Ok, così si può fare, allora... Non conosco Charles Peguy, l'unica cosa che collega a me il letterato francese, tenente della Riserva morto sulla Marna nei primi giorni della Grande Guerra, è Roberto. Un filo esile, tutto sommato. Sono entrato con la libertà di defilarmi se la prova era troppo ardua, tutelato dalla sua intelligenza e comprensione.

La sottile corazza di diffidenza che forse si percepisce nel mio racconto si è slacciata quando, accomodato, ho letto l'incipit:

Noi siamo la riserva della Francia, noi,
riserva di memoria, riserva della storia,
noi riserva di popolo e di Chiesa;
riserva d'obbedienza, d'onore,
riserva di anime da usare, noi,
riserva di altri tempi.

Dopo i braccianti e dopo gli artigiani, dopo gli operai,
dopo gli onesti cittadini, i bravi cristiani;
dopo gli eroi e dopo i santi, dopo gli altri soldati,
noi ultimi, peccatori, noi già dimenticati, noi
che saremmo passati senza essere visti,
noi, pronti.

Scorta di sangue, scorta di gambe,
di braccia e di bende, scorta di lacrime e di orrore;
scorta di fame, scorta di sudore, di grida,
di monconi e di stampelle, di dolori;
scorta di cuori, di corpi
in fila per un nome.

E quando il nemico verrà avanti, quando i fanti
cominceranno a cadere, quando ognuno avrà avuto
l'onore stabilito, noi prenderemo il loro posto,
rifaremo il loro passo; noi saremo il fronte,
le trincee, saremo la terra, tutta, di Francia;
noi, i campi per le fosse.

L'incipit mi ha messo in ascolto.

Si accomodano i relatori - Alessandro Rivali, poeta e editor Ares (che ha introdotto la serata), Roberto Gabellini e Francesco Napoli, critico ed editor poesia Mondadori - e inizia la presentazione. Il Nostro si defila una misura indietro a osservare le parole che scandiscono l'incontro. Rivali racconta gli aneddoti del suo manoscritto e il sorpreso vaglio redazionale che ha generato poi la pubblicazione, mentre Roberto mi ruba un sorriso quando tradisce gli stati d'animo di essere soggetto della rappresentazione, tormentandosi il volto nell'anedottica, con attenta fissità ascoltando il critico. Poi a sua volta assume un altro, inconsueto per me, atteggiamento, quando spiega la sua ricerca, storica e poetica, in uno svolazzio nervoso di fogli. Per poi assentarsi nelle note delle danze di Bach e Debussy, inseguite dal cieco movimento della testa.

Fin qui la mia cronaca ingrata e divertita di una sera inconsueta. Del resto, fatico a raccontare il fascino che è stato dato a un autore sconosciuto e che scoprirò percorrendo le altre pagine del libro. Mi accontento di registrare l'intensità del dipanarsi delle due marce parallele, la militare di Peguy nell'avvicinarsi al fronte, la militante di Roberto nel ripercorrere con il tenente la poesia e la Fede. Un'intensità sorretta dall'intelligenza che anche a un ateo come me dona preziose emozioni.

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