Il mio tesserino bordò (ovvero: dopo tanti anni, alla fine mi sono adeguato)

Oggi sono stato a Bologna. Un caldo. Ma mica in gita, ho ritirato il mio tesserino da giornalista. Dopo 13 anni. Quasi. Detta così, può sembrare che io sia un po' pigro. Ed è vero, fondamentalmente. Ma ogni tanto alla mia pigrizia ci attacco pure qualche idea, tra le tante fisse che mi ritrovo. E la mia idea è che l'Ordine, insomma, non è che sia proprio una cosa utile utile utile. E che per scrivere, facendo con onestà questo lavoro, insomma, non è che proprio ci voglia la patente. Soprattutto se ci leggiamo intorno. Ma questo è un altro discorso (che chiunque potrebbe fare leggendo me). E poi un po' mi vergogno: ho visto colleghi che col tesserino ci campavano mica male: e scrocca l'ingresso qua, e scrocca di là... Io ad esempio non ho mai capito le conferenze stampa con i pranzi o con le cene. Invece ci sono dei colleghi che ne vanno matti. Ma poi si lamentano col dottore per il colesterolo. Bah. Una volta stavo con una tipa che era una scroccona, ma una scroccona... Ma lei ancora non aveva il tesserino. Glielo hanno dato dopo due anni di scrocco. Invece, nelle redazioni quelle vere, i colleghi evitavano le conferenze stampa con cena come la peste. Ci mandavano i biondini (come me), perché se no non chiudevano le pagine.

Ma non è che non ho preso il tesserino per non scroccare le cene. Avevo un sacco di motivi. Tutti confusi, ma ce li avevo. Una volta ho cercato l'Ordine dei giornalisti. Aveva chiuso un giornale a San Marino, dove lavoravo anche io. Una roba davvero da schiavisti: inventare 8 pagine, tabloid, su San Marino, burdell, era un tour de force. Una minestra di quelle brodose, davvero: articoli lunghi, ma lunghi.... Il giornale, ovviamente, era filogovernativo. Se no col cavolo che campava. Lo dirigeva una tipa che aveva fatto la corrispondente, una signora che col mestiere – di giornalista – insomma, qualche cosina ci azzeccava, ma era più abile con la politica del cappello in mano. E ogni giorno cucinava 'ste otto pagine di brodo, perché, capirai, a San Marino sono 26 mila abitanti, due sindacati, un governo e un parlamento, ma mica si riuniscono tutti i giorni. Insomma, due pagine erano anche troppo. Mavabbé.

Al computer eravamo io, Pizzieservizi, Leo, una tipa di San Marino con due tette così – sì, lo so, non è bello dirlo, ma metteva certe scollature sotto il naso che ci navigavi dentro per forza con gli occhi - ma che si riproduceva solo con gli italiani che suonavano uno strumento o erano grafici (e io quindi ero tagliato fuori), e poi Clara, Giorgio e Marcello (grafico). Poi c'era la direttrice. C'era così poco da scrivere che toccava quasi inventare. A me la direttrice mi guardava male. Diceva che ero comunista. A San Marino, anche senza Berlusconi, era una mezza offesa. Sul giornale governativo, poi... Ma a me non me ne fregava niente, perché io politica la facevo a casa mia, mica all'estero. Allora una volta ho fatto una pagina intera sulla guerra di Spagna. Era il 60 esimo anniversario e almeno 8 sammarinesi erano andati volontari nelle brigate Internazionali, a combattere contro Franco. Forse nove, ma l'identità di uno non era certa. Una bella storia, davvero. Io però i miei pezzi non li firmavo. Mi dava così poco, ma così poco che mi vergognavo come un cane. E la sera, in estate, finito al giornale mi toccava andare a lavorare in un pub a Rimini, perché se no non campavo. Allora le passo la pagina, già fatta e tutto, che avevo scritto nella pausa, e lei storce il naso. “Mah, vediamo...”. Però 8 pagine, col cavolo che le riempi e alla fine è stata costretta a pubblicarla. E ci ha messo pure la firma. Ma mica perché era una bella pagina, perché così si parava il culo col padrone su al Governo: “he, non l'ho fatta io, l'ha fatta Rotelli. C'è la firma...”. E a parte quello, non ne ho firmati molti altri di pezzi, perché mi vergognavo come un cane per quello che mi dava.

Insomma, alla fine sto giornale chiude perché lei voleva tagliare gli stipendi a tutti, a me no perché prendevo così poco, ma così poco... E allora ci fu la rivolta, e uno disse che dovevo essere io il portavoce. Così – pensava 'sto collega furbo – la tipa tagliava la testa a me e lui salvava il suo stipendio. E invece la tipa chiuse la baracca. Non serviva più al Governo. Allora, siamo andati tutti dai sindacati di San Marino, quelli dell'Industria, perché dei giornalisti non esiste, ma che c'azzecchiamo noi coi metalmeccanici... Bah. E i sindacati fecero “Ammuina”. E poi dall'Ambasciatore Italiano a San Marino. Che fece “Ammuina”. Scusate, non sapete cos'è fare “Ammuina”? Dunque, è un ordine che veniva impartito sulle navi da guerra borboniche quando veniva in vista qualche autorità. L'ordine era questo: “tutti chilli che stanno a prora vann' a poppa e chilli che stann' a poppa vann' a prora: chilli che stann' a dritta vann' a sinistra e chilli che stanno a sinistra vann' a dritta: tutti chilli che stanno abbascio vann' ncoppa e chilli che stanno ncoppa vann' bascio passann' tutti p'o stesso pertuso: chi nun tiene nient' a ffà, s' aremeni a 'cca e a 'll à". Insomma, corrono dappertutto, sembra che lavorino ma alla fine non fanno un cavolo. Il massimo dell'Ammuina fu prenderci l'appuntamento – non mi ricordo se fu il nostro Ambasciatore o il sindacato, mi sa il primo - con il capo del Governo sammarinese. Proprio il giorno in cui lui partiva per una vista ufficiale a Cuba. Io telefonai all'Ordine dei Giornalisti di Bologna e il presidente di allora, non mi ricordo chi ma ora è un altro, ci disse: “state tranquilli, vi aiutiamo noi”. Mai visto. Poi, quel presidente lì, mi scrisse una volta, un paio d'anni dopo. Voleva sapere se facevo veramente il giornalista. Funziona così: prendono a caso tra gli iscritti un tot di nomi e gli chiedono di documentare il loro lavoro. Non so se lo fanno ancora. Allora io gli documentai che lavoravo in un ufficio stampa di un Comune. E con la documentazione gli spedii una lettera dicendogli che invece di guardare a 'ste cazzate – giuro, non ho scritto così - si preoccupasse di guardare come venivano pagati, quando venivano pagati, i colleghi in un giornale di Rimini. Non mi rispose. Magari aveva ragione lui, erano cavoli del sindacato dei giornalisti, mica dell'Ordine. Però poteva dirmelo lui. E allora, insomma, il tesserino non avevo intenzione di ritirarlo.

Però ora mi serve, lo devo presentare in Tribunale per dirigere un giornale. Piccolo. E allora, ho deciso di fare contente le ragazze dell'Ordine, finendo il lavoro: l'anno scorso gliel'ho pagato, 25 euro, però non gli ho mandato le foto. Perché poi il tesserino non mi serviva più. E allora le foto le ho portate oggi. Perché il tesserino mi serve. E la tipa, gentilissima come ne conosco poche – e paziente: ormai mi conosce, mi avrà catalogato come quello “smanato” di Rimini – ha preso le foto, e una l'ha incollata dentro un tesserino bordò, di cuoio – credo – con sopra scritto, a caratteri d'oro, Ordine nazionale dei giornalisti. Roma. Tessera n° 123614. E mi ha fatto strano vederle scrivere, con una grafia da scrivano dell'ottocento, che ero iscritto dal 14 gennaio 1994. E poi lei me l'ha dato e guardandolo, così carino, la copertina rigida in cuoio bordò, spesso, più grande di una carta di credito, mi sono detto: “e adesso in che taschetta del portafogli lo metto”?

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Commenti

Ciao!
Sono passata, mi sono fermata ed ho letto un pó. Mi piace il tuo modo di scrivere. Ho passato un bel pó della mia gioventù a Rimini, la prima volta nell -74, poi fino a -81. Ho tanti bei ricordi, dalla Romagna e da Rimini, anche se non ci sono stata per tanti anni. Tornerò, sicuramente.

Grazie Ann Christin. Ciao.

Lo considero un privilegio, sacrosanto. Non tutti hanno la possibilità di vedere scritto, da qualche parte, quello che fa. Anche se poi non conta nulla...
Bye Chicco

la redazione intera del piccolo giornale ringrazia!

Samuele

Ciao Kikko,
Grazie per il tuo "commento al commento"...
Non mi vedi, ma sto sorridendo, mentre la finestra aperta sul parco di Villa Ombrosa abbandonata fa entrare l'eco dei fuochi artificiali (forse a Marina?), un po' di fresco e... qualche zanzara.
Buona notte, a presto.

C'è stata, una volta, una sola, che ho indugiato nella “sbornia” della professione, caro Marco. Quando, al matrimonio di mio padre, ho dichiarato “giornalista” all'impiegata del Comune, che mi registrava come testimone di nozze. E mio padre, emozionato come tutti gli sposi, mi ha guardato in un nodo diverso, un'espressione nuova, dopo anni di distanze. Il vecchio non apprezzava il mio vagabondare, perennemente inquieto, tra i lavori. Nemmeno quando lo incoraggiava, favorendo il mio imbarco sui mercantili della “sua” società. Quello sguardo aveva un po' dell'orgoglio e un po' della sorpresa, era prima tregua nelle schermaglie tra ciò che ero e ciò che l'ambizione di un padre poteva desiderare. Niente mi ha poi dato la soddisfazione di quello sguardo, nemmeno il dormire sopra al primo pezzo finito in nazionale, che aveva un altro sapore. Gustoso, ma di tutt'altra natura. Non ci ho mai creduto, al tesserino, forse perché credo poco nelle categorie. Sorrido immaginando la tua impazienza, cara Cristella, nel presentare la documentazione, l'impazienza di raggiungere una tappa conquistata, per molti desiderata, preclusa - come non sempre ricordiamo e che tu giustamente ricordi, Gioppo - in un giornale che ha il suo fascino e il suo ruolo. Leggendoti - ovunque: carta, web- si capisce bene il perché: ti piace scrivere. Non è solo un hobby, ma qualcosa nel quale mettere di più, e riversarlo nei propri interessi umani, anche solo – e qui trovo il senso dell'impazienza per il tesserino - il giornale di un gruppo di volontari. Io avevo un altro approccio, invece. L'iscrizione l'ho fatta per sfinimento: perché spiegare sempre a chi te lo chiedeva che non è la patente a fare il monaco?! L'ho fatta, quando ormai non mi serviva più. Perché battevo un'altra pista della scrittura, perché quel panorama che racconti - liberando un po' il magone, Marco – mi era chiaro, perché forse - in modo puerilmente snob – mi sentivo sopra quel panorama. Stop alle spiegazioni. Ma il tesserino no, il non ritirarlo significava dire che non me ne fregava niente. Fino a lunedì, perché non basta più un certificato dell'Ordine, in tribunale ci vuole il cuoio bordò. Mi sono adeguato, come dici – scherzosamente, ma leggi bene tra le righe, al solito - Cristian: “Finalmente fai la persona seria, era ora!”. Magari sì, ho smesso in questo un po' della mia cocciutaggine, che dovrei impiegare altrove.

Finalmente fai la persona seria, era ora!
A parte gli scherzi, veramente un bel post scritto, si sente che le cose vanno decisamente meglio, o sbaglio?

Beh, dico la verità: appena passati due anni dal primo articolo pubblicato e pagato (nel 1998 il Carlino 'ben' ottomila lire se sotto tot moduli; dodicimila se sopra... poi, roba da non credere, hanno calato il tariffario!), proprio il giorno dopo, mi sono affrettata a richiedere il tesserino. E come mi stimavo!
Poi, a dire il vero, l'ho usato due o tre volte per non pagare l'ingresso alla Fiera di Rimini. Stop. Tutto qui. Ah, dimenticavo tutta la questione dell'Inpgi 2. Prima non si pagava. Poi la mazzata del condono. Ora, la quota minima (obbligatoria) che mangia la metà di quanto incasso, visto che non scrivo poi così tanto...
Però anche a me il tesserino è servito per diventare direttore responsabile di un otto fogli formato A4: RiminiAil Onlus, semestrale dell'Associazione lotta contro le leucemie. A gratis, naturalmente. Vabbè, giornalista tesserata sono... beneficiente sono sempre stata... Insomma, sei in buona conpagnia, kikko.
At salut.

Caro Kikko, io quel tesserino bordò ce l'ho dal 1992. Eppure non è cambiato un cazzo. Davanti a me si sono infilati a centinaia, soffiandomi le occasioni migliori pur scrivendo sta con l'accento (stà) o un altro con l'apostrofo (un'altro). Non lo tiro fuori quasi mai se non per incollare il bollino dell'anno successivo. Forse l'hanno visto due o tre volte al cinema quando - qui si parla di risparmio sul bilancio familiare non di figate - questo 'rigidino' bordò mi ha permesso lo sconto sul biglietto. Ora, a 45 anni suonati, molti capelli bianchi, tanti chili in più, spesso e volentieri rido di quando - 25 anni fa - mi dannavo l'anima perché mi riconoscessero uno status successivamente più sputtanato dei culi e le tette delle veline in tv. Mi è passata la smania. Mi è passata la voglia di fare l'arrivato. Mi è passata la sbornia del 'graduato' da tesserino. In fondo, se uno scrive stupidaggini le scrive a prescindere dal tesserino bordò. Mezza categoria di quella che sta a Roma o giù di lì non sa nemmeno cos'è la Repubblica di San Marino. Non sa nemmeno che lassù 'vivono' 6 quotidiani (dico sei) in un fazzoletto di terra che fa impallidire il Vaticano (e come se Papa Ratzinger tutti i santi giorni dovesse leggersi 6 Osservatore Romano, sai che stress da prestazione!). Non sa nemmeno che l'80% dei giornalisti impiegati nelle redazioni è italiano, i-ta-lia-no! A Roma il tesserino bordò l'hanno tirato dal finestrino dell'auto; buttato nel Tevere; dimenticato nel cassetto della scrivania. Insomma, non serve per fare i cavalieri serventi. Un po' come accadde a quel signore che, laurea in mano e rimasto senza lavoro, si presentò al capo del personale e questo gli rispose: "Mi spiace, ma lei è troppo qualificato per la nostra azienda!". Ora che quel tesserino l'hai pagato, fallo vedere a chi di dovere in Tribunale; aiuta i tuoi amici ad aprire il piccolo giornale. Ma poi dimenticalo, infilalo nel portafogli e lascialo a cuocere contro le tue chiappe sudate d'agosto. Abbandonalo al suo destino di 'rigidetto' colorato. Anche con quello sarai sempre Kikko Rotelli (so perfettamente quale era il giornale e chi era ed è la signora), una penna brillante. Una penna intelligente che - a parte qualche debita eccezione - non può essere utile ai giornali di adesso. Caro Kikko, ci sarà sempre lo stronzo di turno a passarti avanti anche se tu hai il tesserino bordò. Ci sarà sempre la collega più carina e rompicoglioni a fotterti l'ufficio stampa che desideravi da tanto. Ci saranno sempre i pataca che come te e me si dovranno dannare per tenere stretto quello che mettono in cassa a fatica ogni mese. Nonostante, ahinoi, il tesserino bordò profumato di cuoio.

@ Leo He, Leo, in ogni cosa c'è qualcosa di positivo. Io ricordo con affetto noi, come gruppetto, e un clima non comune che abbiamo creato, piacevole. Ed anche quella chiusura: diede a tutti una bella smossa ed energia, sembrava quasi il bisogno di cancellare la cappa impiegatizia che la tipa calava nella sua piccola impresa artigianale, che dirigeva come se fosse un capannone, ogni operaio alla sua macchina, come un tornio. E invece era un computer e produceva storie e storielle. Alla fine non chiuse un giornale, liberò energie. Un po' troppo a lungo compresse.
@ Markino Denghiu
@ Samuele De nada

prove di stile,vedo....

Bravo Rotelli con la K (anzi tre). In effetti hai dato una bella "radanata" a un angolino della mia memoria... correvano gli anni 90 e la politica non mi appassionava come non mi appassiona ora. Certo che se andassi su Second Life il mio avatar non avrebbe l'eskimo e il libretto di Mao in mano... Piuttosto un Hammer con dentro uno stereo da 12mila euro e un frigo bar ben assortito. Io a quegli anni e a quella signora devo qualcosina, almeno un po' di mestiere... Seconda cosa che mi faceva fare più o meno quello che volevo, scrivere di tutto, bastava che fosse interessante per me. Ed ero contento dei mei 12 lettori. Così è arrivato il tesserino, grazie a Betti che benedì il mio praticantato. L'apice è stata l'intervista e la stretta di mano al secondo uomo sceso sulla Luna (a meno che fosse il secondo mi ha fatto sempre pensare...) che poi si diceva avesse turbe psichiche e soffrisse di alcolismo, quando mi ricapita? Seconda cosa Poltronissima, il mio settimanale di eventi che, poi pensandoci bene, non era altro che www.certenotti.net che.. pisciava nella culla. Ciao, Leo