Pedone per caso

C'è un bmw, un pedone e un tombino che stanno sulla strada. Il Bmw, uno station wagon, accelera ma curva leggermente, per passare dietro al pedone. Anche il pedone accelera, per aiutare il bmw ad evitarlo. Il tombino invece sta fermo. E magari non si accorge nemmeno del pedone che gli atterra sopra in malo modo, né dei moccoli che tira il pedone, una volta presa la storta. E' di ghisa, cosa volete che ne sappia lui di bmw, pedoni e, soprattutto, di moccoli. Magari nemmeno voi. Traduco: i moccoli sono le imprecazioni che si tirano, tra i denti o a squarciagola, quando succede qualcosa che non vi aspettate e che, ovviamente, non gradite. Se no, si esulta. Il pedone moccola perché il piede gli fa un bel po' male, un male del tipo mi-sono-preso-una-storta. Una roba così, insomma. Per cui, interpretate secondo i vostri gusto e cultura i moccoli che ha lanciato il pedone. L'avete presa una storta una volta nella vita, no?!

Beh, come si intuirà, quel pedone ero io. Una settimana fa. Un male. Però non sono andato in ospedale. Mica perché sono stoico. E' solo che non avevo voglia di fare una fila di ore ad aspettare, per poi scoprire che era solo una storta. Ho fatto come dice Jannacci: "quelli che con una buona dormita passa tutto, anche il cancro... ooyeah". La fila l'ho fatta la mattina dopo: perché dopo una buona dormita il mio melone (tanto era gonfio il piede alla sera), si era sgonfiato punto o niente.

Alla reception del pronto soccorso c'era una tipa graziosa. E anche cordiale. Il che non è facile: al pronto soccorso di Rimini capita più o meno di tutto. Una volta è capitato pure un tipo con la pistola e si è messo a sparare. Uno scemo, ho scoperto poi, perché si è sparato da sé. Dentro il pronto soccorso. Lo so perché mi ero fatto male a un piede - curioso ricorso - e mentre aspettavo sulla barella il mio turno per le radiografia - un'ora buona - mi è passata davanti una torma di poliziotti che accerchiavano un tipo su una barella. Era lo sparatore.

La tipa graziosa e gentile sembrava una via di mezzo trai medici di ER e la barbie medica: aveva intorno al collo uno stetoscopio rosa e degli orecchini di plastica rosa e viola. Come i bijoux che si regalano ai bambini. Ma lei non era bionda come la barbie, era mora. Poi, quando l'ho vista uscire dall'ospedale - ho dovuto aspettare anche per l'eparina - aveva anche gli stivaletti e la borsetta rosa. La tipa graziosa e gentile mi indirizza all'altro capo del pronto soccorso, quello ortopedico, con la mia bella schedina multicolore: io ero un caso verde: urgente ma non grave. Vuol dire che passo avanti ai casi gialli, i meno gravi, e ai casi bianchi, che sono destinati a diventare pazienti: ore e ore di attesa. Ma se arriva un caso rosso, mi passa avanti. Che culo, ho pensato mentre zampettavo verso la sala d'attesa: magari non devo aspettare più di tanto. E infatti, ho atteso solo una mezz'oretta.

Poi ho zampettato dentro e una dottoressa, circondata da due infermieri, mi ha detto: si sieda qui, si tolga la scarpa, cosa ha fatto, vada a fare i raggi. Senza alzarsi dalla sedia. Il tempo è stato più o meno quello che avete impiegato a leggere. Solo che, nel frattempo, oltre alla giacca in mano, avevo anche la scarpa. La sala raggi è 50 di metri più là, con qualche porta nel mezzo. Ed io ho zampettato verso la sala raggi.

Alla sala raggi mi hanno fatto i raggi - vabbé, questo è ovvio - e mi hanno detto: aspetta qui, che ti chiamano dal pronto soccorso. In questi pochi metri ho capito una cosa: quelli con il camice bianco se ti danno del tu sono infermieri, se ti danno del lei, sono medici. Io preferisco gli infermieri: fa più empatia. Dopo un po' mi sono rotto e sono andato al bar. Zampettando, ho incontrato la dottoressa che mi ha visto dalla sedia (visitato mi sembra un verbo eccessivo) e l'ho saluta con un "ci vediamo dopo", mentre al bar ho incontrato un tramezzino vecchio che non ho nemmeno finito. Troppo cattivo. Sono tornato al mio posto e ho aspettato che mi chiamassero.

Torni al pronto soccorso, mi hanno detto, e ho zampettato fino al via, ma non sapevo se dovevo entrare di là o di qua. Mi ha salvato un'infermiera che usciva per caso da un'altra sala. Non era quella di prima. Nemmeno la dottoressa era quella di prima: meno graziosa. Ma sempre seduta. Ha guardato le radiografie e mi ha detto che c'è un infrazione al perone, tocca fare il gesso. Sempre senza alzarsi. Infatti lo ha spiegato agli infermieri. E mentre questi mi facevano il gesso, abbiamo chiacchierato del più o del meno. La dottoressa diceva che un medico gli ha consigliato "La mia natura è il fuoco", la biografia di Santa Caterina da Siena. Invece io mi sono lamentato che sabato non sarei andato a ballare al Velvet, per il remember Slego, e l'infermiere: "ecco dove ti ho visto...", e da allora mi ha chiamato sempre Enrico: Enrico rilassa il muscolo, Enrico aspetta che ti aiuto... Gentilissimo. Poi mi hanno spiegato come fare a non farsi venire il pestone quando ti fai le punture di eparina sulla pancia, come mi è successo l'altra volta: "non devi massaggiare né prima né dopo". Cose così, insomma. Poi, finito il gesso, mi hanno fatto accomodare su una sedia a rotelle.

Finalmente.

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