Nostalgia canaglia (e rompicoglioni, alla lunga)

Il vecchio nautofono di Rimini - foto Corriere Romagna

Un giorno la nebbia era tanta che non si vedeva da qui a là, cioè una decina di metri, forse anche meno. Ero imbarcato su un peschereccio vecchio, con la prua a picco che sembrava un bragozzo e la poppa allungata che sembrava la coda ritta di un tacchino, con un comandante che definire alcoolista era un eufemismo: una cassa di vino bianco gli durava un giorno in mare. Stavamo tornando in porto e per un po' abbiamo viaggiato a radar, ma vicino all'imboccatura non bastava più: toccava seguire il nautofono e guardare. Il radar, all’epoca, non era molto preciso sulle corte distanze e il GPS era sconosciuto su quel legno.

Io ero a prua e il capitano aveva ficcato la testa nella finestrella per sentire meglio le mie indicazioni, ripetendo ansiosamente «Vedi niente?» Cercavo gli scogli intorno al faro rosso all'imboccatura. Niente: il suono del nautofono era sempre più forte, ma di scogli nessun contorno. Mi ero quasi convinto di averli superati quando mi sorpresi a gridare «dai indietro, dai indietro...» a quel vecchio ubriacone. Mi spaventai parecchio. Però imboccammo il porto, seguendo il profilo della palata e l'ombra del Rockisland.

Tolta questa esperienza, datata 30 anni fa, con le attrezzature che ci sono ora su qualunque barca, il nautofono non ha senso. E’ un vezzo retrò per pochi nostalgici, che magari vivono lontano dal suono e non fanno a tempo ad esasperarsi al cupo brontolio intermittente, ormai superato dal tempo. E che, forse, come talvolta accade, del mare conoscono giusto «la roiga blu» orizzontale e quella verticale dei tanga.

(Foto del Corriere Romagna tratta dall'articolo https://www.corriereromagna.it/news-rimini-33396-suoni-solidi-fatti-nebb...)

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