Qualche altra ragione perché voto Sì e perché penso che una parte della sinistra del No fa una battaglia di sopravvivenza

I duellanti, scena della ritirata di Russia

Non mi riconosco in Renzi. Ma in questa tornata referendaria mi riconosco ancora meno nelle ragioni del No. In nome di una pretesa fedeltà alla Costituzione alcuni, non tutti, a sinistra contrabbandano la loro incapacità di dialogare con la contemporaneità. Non hanno il coraggio di cambiare – CAMBIARE – e allora riesumano paure e parole d’ordine cresciute all’ombra del muro di Berlino. Le hanno preservate dalle macerie per cullare la loro sopravvivenza, in uno scenario antico che l’elettorato e la globalizzazione ha già ampiamente spazzato via.

La classe operaia c’è ancora, il ceto medio ha una fifa matta e questi continuano a usare un vocabolario che i primi non ascoltano più per rabbia e i secondi non capiscono perché alieno. Il NO a questo referendum per loro è la possibilità di mantenere ibernato un assetto istituzionale che li ha visti già scomparire, ridursi a gruppetti di scontenti che si accontentano di colonizzare l’Anpi, per fare un esempio evidente, o di trovare nel dissenso l’unico collante. Un piccolo prodotto per chi nella politica – POLITICA – è cresciuto, ben sapendo che la parola significava “costruire insieme”, trovare accordi che funzionassero per la comunità.

Si accontentano di tentare – o riuscire, lo vedremo il 5 - una spallata da fuori a Renzi. Ma i giochi si fanno in Parlamento, lì ci sono i numeri per andare o non andare alle elezioni. E le forze che sono dentro – tutte le forze, anche i 5stelle, che dopo Roma, Quarto, Livorno hanno perso la rassicurante e dorata verginità del non aver mai amministrato, per non parlare di Palermo e Bologna - non hanno questa fretta di andare a ricontare i propri consensi, o perché non sono più sicuri di riavere i loro numeri, o perché non sono ancora pronti.

L’eventuale vittoria del NO affosserà la riforma, questo è certo, ma non è altrettanto certo che affossi Renzi. Per questo io me ne frego di Renzi. Prima o poi passerà: lui lo sa e sta sereno. Mi frega invece di sgombrare il campo istituzionale da un Senato mero doppione della Camera dei Deputati. Mi frega di un Senato con nuove funzioni. Mi frega di scongelare un assetto istituzionale in una Italia che non fa più i conti con il fascismo, con il dopoguerra, con la Ricostruzione, ma li fa con un nuovo millennio, con un’Europa, con una società diversa dai diversi “fascismi”. Mi frega di cominciare a cambiare. Mi frega anche di rischiare un po’. So cosa mi lascio dietro, so cosa c’è scritto nella riforma, il rischio lo accetto e voto SI.

Argomenti: