Come gettare il cuore oltre il pedale. Elettrico.

Enrico Rotelli saluta la statua di Peppone a Brescello

E’ poco più di un mese che ho trasformato la mia bicicletta da città in una ebike. Ho comprato un kit di trasformazione Bafang, uno di quelli che sfili i pedali e la meccanica del mozzo e al loro posto metti un motore elettrico (mid drive). Il motore l’ho comprato su Alibaba, direttamente in Cina. Ho speso meno che su Amazon, 351 euro, tasse di importazione e spedizione inclusi. La batteria l’ho comprata in Italia, senza nemmeno cercare alternative, temendo che il trasporto di un materiale esplodente – quale è la batteria - mi costasse una follia. Me la sono cavata con 320 euro, compreso il guscio, per una 14,5 Ampere, ovvero un centinaio di chilometri di autonomia, se non si esagera con il livello di assistenza alla pedalata.

Ho scelto il kit non perché avessi una bicicletta di valore. Anzi, ho scoperto di avere un vero catorcio, in questo mese e mezzo. Semplicemente non potevo permettermi come spazio un’altra bicicletta. Come costi, infatti, per rendere efficiente la bicicletta che avevo (si consumano di più la catena, i pignoni, i copertoni, si è spaccato prima il mozzo.... avoglia te….) alla fine ho speso come una ebike da città a livello base, sempre mid drive (con il motore alla ruota i costi sono ancora più bassi). Ho scelto il kit mid drive perché mi intrigava, e continua a intrigarmi, l’idea di dare una nuova vita alla bicicletta “tradizionale”. Sfili il meccanismo dei pedali, inserisci il motore, fissi con due viti la batteria al posto del portaborraccia e accendi. Vuoi cambiare bicicletta? Sfili il motore e rimetti i pedali. In due ore ti cambia bici e vita.

In un mese e mezzo ho fatto quasi mille chilometri. Alla fine dell’anno, se continuo con questi ritmi, farò il doppio dei chilometri che facevo in auto. E, quando vado al lavoro, ho tagliato della metà il sudore. Lavoro in due uffici e in entrambi dovevo avere un cambio di intimo, di camicie e un asciugamano. Sembra una patacata, ma i chilometri di tragitto casa – lavoro mi sono costati in sudore diversi raffreddori e varie influenze negli inverni scorsi. Per non parlare del tempo. In auto ci perdevo mezz’ora a viaggio, in bici 15 minuti, in ebike arrivo a 10, con meno fatica e la stessa sicurezza. Questo per gli otto chilometri del lavoro. Poi ci sono gli altri 12, per arrivare alla media…

Fare meno fatica in bicicletta non ha coinciso con l’impigrirsi. Al contrario, è scattato un curioso meccanismo mentale che mi porta a non sopravvalutare le distanze. Lo percepisco: lo spazio si è ristretto, i luoghi sono più vicini. Ne raggiungi uno e già ti poni l’obbiettivo di aggiungere qualche altra manciata di chilometri, se non questa volta magari alla prossima. Arrivi a Ponte Verucchio giovedì, domenica vuoi raggiungere Saiano. Lo raggiungi, ti sporgi dalla genga che domina il Marecchia e pensi: la prossima volta arrivo lì, a Pietracuta. E invece arrivi più in là. E non aumento il livello di assistenza del motore. Anzi, quando posso lo diminuisco. Sferragliando, percorro la ciclabile con la mia bici da città. Alla quale ho dovuto regalare una ruota più robusta, dei freni migliori, un copertone nuovo. Ma sono lì, a godermi i merli o le upupe che scappano via dalla pista, a evitare le lucertoline spaventate, a rimirare il volo di un falco che forse ho disturbato forse cerca una preda.

Certo, i puristi storcono il naso: “con l’ebike...”. Vabbé, che dicano pure: son tutti fenomeni quando si parla delle fatiche degli altri. Intanto io, con due infarti, ora esco quasi tutti i giorni e non sono per niente spaventato, né dalle distanze né dal caldo né dalla solitudine. Ogni settimana faccio uscite da 40 a 60 km, intervallate da giri più piccoli. Con la bicicletta da trekking dopo ogni uscita da 40 o 60 dovevo stare fermo un giorno. Faccio più chilometri, meno fatica, dimagrisco forse meno ma faccio la stessa strada di tanti mountainbikers con il mio catorcino. E mi conquisto scorci che il mio cuoricino pensava di non poter guadagnare. Butta via...

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