La fata dentina

Elisabetta non ha un cognome, né un volto, come tutte le operatrici dei call center. Ha una voce e un ruolo, però: è la mia personal assistant della Tim per tutte le mie magagne e le mie informazioni. Ogni volta che digito 119, il circuito elettronico dell'etere dovrebbe dirottare la mia chiamata verso di lei, se non è impegnata, o a una fanciulla a lei attigua. Si è presentata qualche mattina fa, al cellulare, annunciando il nuovo servizio di assistenza che la Tim ha varato per i clienti particolari (i più spendaccioni, in pratica): lei stessa. La voce – giovane presumo, tra i 25 e i 30 - mi ha sciorinato la litania che un marketing - man le avrà passato sotto forma di memo. Computer davanti, cuffia e microfono alle labbra – immagino io - la ragazza mi ha preannunciato la sua presenza all'altro estremo dell'onda ogni volta che chiamo il servizio clienti. Ha aggiornato la mia scheda cliente, ha dato un'occhiata alle mie lune, dopo un po' ha abbandonato il tono cordial – professionale della sysop (SYStem Operator) per prendere quello cordiale, promettendomi di dare un'occhiata al mio profilo tariffario, che ancora le sembrava conveniente. Si è informata con tatto su che lavoro faccio, si è lasciata sfuggire la città d'origine - “non si sente dall'accento?!”, intimità notevole per i contatti con i reclusi dei front office telematici delle multinazionali. Devo ammettere che non l'ho presa molto sul serio: tutti i monopoli ti ammantano con bei nomi e servizi aggiuntivi il ladrocinio quotidiano, salvo poi farsi di nebbia quando ne hai veramente bisogno. Ho accantonata la povera Elisabetta tra le offerte promozionali che albergano nella ram cranica, in attesa del reset che le spazzerà via.
Qualche giorno dopo, la mia boetta Nokia ha cominciato a fare le bizze. Un tastino che non prende, un altro che fa più del suo dovere, una chiamata che parte da sola: insomma, i soliti segnali del cedimento. Consulto le mie lune – ebbene sì, faccio anche io la raccolta punti come ogni italiano su 3, ma almeno non li incollo – e vedo che, volendo, per me ci sarebbe un altro Nokia, 6630 smartphone e tutto il resto. Fotocamera integrata 1,23 megapixel, umts in caso, e-mail, memoria aggiuntiva 64mbyte, megamicro schermo a 65 mila e rotti colori, Bluetooth: a leggere tutta la scheda sembra di essere davanti a una formula uno dell'etere, rispetto al mio solito minimo-indispensabile-ché-tanto-dopo-due-anni-tocca-buttarlo. Ma questo è gratis, se escludiamo la cifra allucinante in ricariche, e mi faccio tentare. Lo sbircio ogni tanto sul sito Nokia, lo confronto con un altro Nokia (troppa fatica studiare un nuovo sistema operativo, non mollo l'azienda finlandese), guardo quante lune ci vogliono per quello più potente, quasi il doppio, poi la boetta si incanta di nuovo e mi decido: cambio cellulare. Now. Chiamo il 119 e mi risponde un'altra voce, Sara forse, Elisabetta è impegnata con un altro cliente. Non sono geloso, e poi l'avevo già messa nel limbo dei servizi aggiuntivi inutilizzabili... Mi spiega la prassi: o lo spediscono a casa, 10 giorni di tempo, o si ritira in negozio. No, a casa no: io non ci sono mai e poi ho lo spettro di D., il cui regalo si è perso da qualche parte, mentre lei si perdeva tra i vari operatori, un coro di faccia questo e faccia quello per non farle fare nulla. E per ritirarlo al negozio, come si fa? “Sente se hanno la disponibilità, chiama il 119 dal negozio, e lo porta via”. Semplice, no? Basta entrare nel fast-non-solo-food del mercato e hai tutto quel che vuoi, allunghi la manina, per giunta senza nemmeno il bancomat, e appaghi i tuoi desideri. Fantastico. Nel primo negozio stanno per darmelo, ma si accorgono che è il telefono di una promozione: all'ultimo momento, con la scatola in mano, me lo portano via. In un altro li hanno esauriti e aspettano il corriere. Se voglio ritirarlo devo passare la settimana seguente, no, non accettano prenotazioni, mi devo informare io, come gli altri premiati in attesa. Un altro centro autorizzato non aderisce al servizio, magari più avanti. Lo spettro di D. si fa meno ectoplasma e più reale, soprattutto quando al 119 - altre voci, non di Elisabetta - mi spiegano che il Nokia mi è già stato assegnato e che, se voglio farmelo mandare a casa, devo aspettare almeno un mese, il normale tempo di aggiornamento del loro sistema. Non vale. Mi ero già preparato al rientro in ufficio con una nuova propaggine telefonica e relativo manuale da studiare, funzionalità da esplorare, connessioni da sondare, mi ritrovo deluso come un bambino al risveglio, quando scopre sotto al cuscino che la fata dentina non è passata e non passerà, mai più. Finiti i denti da latte, è il tempo della paghetta settimanale e della contrattazione, regalo per regalo. Maledico il monopolio telefonico e mi rassegno, tornando alle chiamate della mia boetta rossa, che è pur sempre un bell'oggettino di design. Poco dopo squilla, annunciando un numero strano. Pronto?! “Sono Elisabetta”. Mi chiama dal suo call center chissàddove, la mia very personal assistant 119. Mentre la mia sfiducia ormai montava, si è presa la briga di chiamare i negozi Tim della zona, per scovare il mio regalo, bloccato per me solo, “almeno per due giorni”, a Cattolica, pronto da ritirare per condividere nuove ore di lavoro, messaggini d'amore, cazzeggi amicali, emozioni vocali. Cara Elisabetta, la mia fata dentina.

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