Una cartolina dal passato

V. ha preso la via dell’Egitto. Una vacanza verso il sole, al termine di una stagione piovosa che più lamentosa, qui, non si può. Cairo, ovvero Giza, come avrei dovuto ricordarmi organizzando il mio ultimo lavoro oltre il fiume. E invece me l’ha dovuto ricordare lei, mentre pianificavo - si fa per dire – un paio di pagine. Un po’ di panico, inutile dacché ci sono ancora dietro, un sorriso compiaciuto – un viaggio è sempre un viaggio, cavolo – e un lampo d’empatia: “Mi fai un favore?” le chiedo, conoscendo già la sua giovane disponibilità. “A Giza ci dovrebbero essere dei bambini che vendono cartoline, me ne prendi da loro una ventina? Poi me ne mandi una?” Scontata la risposta, una spiegazione V. la meritava: l’ho presa alla lontana, come Cairo e Giza, anni fa, dopo il battesimo del marinaio una volta passato Suez – qualche bottiglia di Corvo bianco, e due scatole di Quality Street e di After Eight, quel che passava la cambusa - la festa che si è tenuti ad offrire ai naviganti, quando si esce dal Mediterraneo e si entra nel loro mondo, ormai alle spalle. Cairo, come Caos, esemplare nella divisa di un vigile a chiazze bianche, il colore originale prima dello sporco e del traffico impazzito, dopo sette ore sotto il sole del deserto costellato di postazioni militari e residuati bruciacchiati, un bar scuro scuro sotto una bottiglia enorme di Pepsi, lo sbarco dalla lancia nemmeno in banchina, saltando tra acqua e sabbia. E un gran mal di testa, che non mi faceva capire del perché tanta concitazione tra i compagni di viaggio. Mozzi, marinai, giovanotti, primi di macchina e di coperta, tutti in subbuglio da quando l’autista ha fermato la carretta davanti a un hotel, modesto e sporco come il povero diavolo che dirigeva il traffico impazzito, dandoci entrambi a modo loro il benvenuto. Radio Bordo, anche in trasferta, quando emetteva era devastante, con l’emicrania diventò una narcosi: “Ma chisto nunè ‘nu 5 stelle, arustanno e’ stelle”. “Ci è stu posto ‘dà” e via andare frammezzo i moccoli, nei dialetti che tra Spezia, Crotone e Ravenna ho dovuto imparare. L’autista, levantino, ci aveva dato un assaggio dei pericoli per i viaggiatori: occhio, che per un po’ di soldi si dirotta anche un pullman. Poi si placa tutto, una volta in moto verso il Green Piramid, Giza, la vera destinazione, con 27 pound per cena e colazione, l’emicrania che batte e il sonno. Bella Cairo, se si potesse vedere.
Alle 12,30 il volo, alle 5 sono già sveglio, passata l’emicrania con il sonno, alle 6 ho già chiamato il servizio per la colazione, l’unica cosa disponibile a quell’ora, mentre Somma Aniello, mozzo, da Torre del Greco, è rassegnato alla mia levata. Ma riesce a strabuzzare gli occhi quando gli dico “Dai, andiamo alle piramidi… Quando mai ci ricapita Cairo…”. Il taxi lo facciamo chiamare dall’hotel, così il numero è segnato, e inizia il nostro tourist tour frammezzo casa, con sosta ai cammellieri che però non utilizziamo, troppi pochi pound, tiriamo dritto verso la piana. Uno di questi, sguercio, vent’anni di galera dalla faccia, sale accanto all’autista regalandoci un brivido comune, mentre sballottando tra le buche la 305 ci porta a strabuzzare gli occhi quando di spalancano le punte dei gradoni e l’enormità dell’uomo, muti a guardare cosa sono riusciti a fare degli ominidi come noi, tirando funi, pali, alzando terrapieni, gradoni verso il cielo, altari della morte svettanti verso l’eternità. Là sotto questo immenso che ci circonda, pieno di sole e di stupore, si fa avanti uno scugnizzo, “cartoline” ci propone. Le riempio in albergo, prima del volo, scorrendo l’agendina con gli amici della spiaggia e il parentado. Al bureau consegno 5 pound ed il mazzetto con i “Saluti dal Cairo, Kikko”, mai arrivati: la banconota l’avrà spesa il concierge, le cartoline saranno volate in discarica. Ora ho quelle di V., sono accanto all’agendina, riapparsa nel trasloco, che scorro ritrovando nomi e indirizzi, un po’ più rari i volti, nemmeno tanti. E un po’ più in là, in bella mostra, la cartolina che mi ha spedito V. prima posta della mia nuova casa. Una sfinge, non quella di Giza, deturpata da Napoleone, più piccola, tra le palme in Technicolor. Un’altra immagine per me, sospeso ancora tra Crono, Ermes e il proteiforme.

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