In morte di mio fratello

Un'immagine di mio fratello, Roberto Rotelli

In queste ore drammatiche credo tutti abbiano cercato come me di aggrapparsi a un'immagine di Roberto, affannosamente intenti ad afferrarla prima che l'assenza ne faccia perdere la limpidezza.

Davvero i ricordi sembrano galleggiare nell'opalino, come in un bicchiere di acqua e anice. Per qualcuno, la moglie, la madre, i familiari, gli amici più cari che lo hanno trovato o visto non più ridente ma nel freddo rigore del sonno, questo bisogno era più stringente. Proprio lui, con il quale hanno condiviso chi la nascita, chi l'infanzia o l'adolescenza, i primi amori e delusioni, ritrovarlo sì sereno, placidamente addormentato, ma irrimediabilmente inafferrabile, come quella grande parte della nostra vita che ha condiviso e che ora la sentiamo scorsa lontano.

Abbiamo scelto insieme le foto per ricordarlo, ma nella mia mente, sentendo le parole dei tanti che si sono avvicinati alla famiglia, si è fatta strada un'altra immagine, quella di un diapason, lo strumento musicale fatto come una u lunga e un piccolo gambino. Percuoti un'asta e questa trasmette all'altra le sue vibrazioni per simpatia. E vibrando insieme, poggiate su una cassa armonica, producono il suono di base per poter accordare uno strumento e cominciare a creare musica.

Il sorriso di Robi era come l'asta di un diapason, vibrava e si spandeva alle altre persone per simpatia, piacevolmente contagiosa, per creare la musicalità di un incontro, un giorno in campagna, il tempo di un taglio o lo scandire un giorno al lavoro.

Siamo qui in tanti perché Robi era questo, l'essere in tanti, avere le persone radunate intorno a sé non per alimentare l'ego o la propria vanità ma per condividere momenti e piaceri. Dove era posto in lui il confine tra privato e condiviso? E' stata privata la fortuna che gli è piombata addosso come un maglio? Era privato il godere dei momenti liberi nella casa di Mulazzano, con il cancello pronto ad aprirsi alle folle di amici e bambini con ogni tempo? Sono stati privati i momenti di scoramento alla ricerca della forza per rimanere il Roberto che tutti abbiamo amato quando invece le cose della vita cercavano di farlo cambiare, come è normale che avvenga, ma senza tradire le sue qualità?

No, tutto è stato condiviso con la naturalità di spezzare il pane a tavola e distribuirlo, tutto è stato contagioso come il suono del diapason che vibra e fa risuonare ciò che tocca.

Siamo cresciuti divisi in qualche modo, come fossimo due opposti. Ma ho conosciuto tutto ciò di cui sto parlando non solo come fratello. Che non è una cosa scontata, lo sappiamo tutti, il sangue talvolta non basta nel cementare le unioni, anzi. Ho avuto la fortuna di vivere Roberto come fratello quando era un bambino smarrito che finiva tra i rovi nella colonia estiva o quando gettava le basi della sua unione più profonda e feconda, con Simona. Due ragazzi e poi uomo e donna insieme. Oppure quando quell'energia di vita che lo muoveva lo faceva gettare su qualunque curiosità che voleva soddisfare, al limite dello sconsiderato. Una volta, avrà avuto 14 anni forse, al parco Cervi avevano abbandonato una moto Maico da cross, un 500. Sgasando poteva spostare i sassi. Robi non era molto alto, lo potete vedere. La moto era alta così. E lui si mise a scorrazzare per il parco. L'ho gonfiato di botte, ma credete che sarebbe bastato qualcosa per fermarlo?

No, era nella sua natura gettarsi sulle cose, pensare e agire, lo abbiamo amato per questo, ci abbiamo lavorato insieme per questo, lo abbiamo ammirato per questo. E lo abbiamo aiutato come potevamo quando questa energia la sentiva venire meno nei momenti di smarrimento. Perché sapevamo che era la sua natura. E questa sua natura ci avrebbe contagiato quando sarebbe stato il nostro turno, come una risorsa che non si mette in cassaforte ma si alimenta solo se alimentata, diventando inesauribile.

Io ho imparato da lui molto di più da uomo e da amico che da fratello. Ho visto il senso e il piacere della paternità nello sguardo che gettava alle figlie appena nate, nel portarle a passeggio. Una paternità che non potevo ricordavo nel mio cuore, e che neanche lui – ancora sofferente - aveva vissuto, inventandosela per essere più coinvolgente. La foto con la quale annunciamo la sua scomparsa è stata scattata un giorno durante una partita a palla avvelenata con i bambini, quando si è seduto sul campo in segno di sfida. Far giocare le bambine con tanti amici intorno, inventarsi momenti e svaghi tenendo sempre sveglia la voglia di condividere era il suo modo di crescere Viola e Aurora, di educarle alla condivisione, allo stare insieme agli altri, ma senza prosopopea. Le vedo ora, circondate dall'affetto di compagne e compagni e so che molto di Roberto resterà in loro. Ho imparato questo da lui, anche senza avere il privilegio di essere padre. Ma ho visto anche lo smarrimento di vederle crescere e trovarsi di fronte al proprio fiore che sta per risbocciare in uno nuovo, di diversa forma, quella dell'adolescente presto giovinetta, che muove i primi passi in una propria vita, nei primi amori.

Un colpo, che costringe a ripensarsi, completamente, a rivedere sé in tutti i complessi aspetti che una personalità complessa come Robi poteva avere, per rimetterli in gioco in uno smarrimento che la vita avrebbe dissipato. Robi non ha fatto a tempo a scoprire che i suoi fiori, crescendo in modo autonomo, lo avrebbero ritrovato nei prati più belli e più grandi dell'amicizia e dell'amore che la maturità e la vita riserva a padri e figli. E li avrebbe percorsi con lo stupore di chi non ha potuto viverli, come invece con sofferenza sapeva esser accaduto a lui.

Un diapason nel sorriso, un diapason che vibrava nella battute fulminanti, lanciate con leggerezza.

Tutti voi serbate nel cuore uno dei quei momenti. Io ho questo: ho chiamato lui quando in ospedale mi hanno diagnostica un infarto. Alle 5 di mattina lo chiamo. E lui: «Ma devo venire lì?» «Dì, il dottore dice che sarebbe meglio...». Si è riaddormentato. Ta bon che c'era la Simona. Lo trovo fuori dalla sala operatorio, mi guarda sorride e mi dice «Soccia Kikko, sei messo come il porco». Con una battuta è riuscito a sciogliere tutto il ghiaccio che potevo avere intorno al mio cuore, ridandomi quel sorriso necessario per andare avanti, per passare la nuova prova.

Era bello mio fratello, bello per quel sorriso contagioso che ci ha sempre dato e che quando non lo poteva dare si disperava. Che fosse con le forbici in mano o a tavola, nei momenti spensierati come nei momenti più bui che la vita ci riservava. Come questo. Ecco, mio fratello mi ha lasciato in eredità questo grande insegnamento che mi ha sorretto in questa ora buia, quando gli amici di infanzia hanno scoperto che un pezzo della loro vita era fredda e non sarebbe più tornata, quando una donna ha scoperto che è stata menomata dell'affetto di grande parte de suo passato e il futuro è cambiato per sempre, quando due bambine sono state costrette a conoscere quando dolorosa può essere la vita. Quando una madre e un padre hanno visto spegnersi il loro futuro. E a quest'ultimo ha negato persino di vivere il dolore di dare l'estremo saluto. Quando a zii e suoceri è scomparsa la persona cara quanto un figlio. In quest'ora drammatica Robi mi avrebbe sorriso, tra le lacrime ma sorriso, la sua più grande eredità. Sorridete, voi che l'avete conosciuto e amato, sorridete a chi vi è vicino in questo momento, perché in quel sorriso abbiamo visto tutti i colori della vita. E grazie a lui sappiamo possono esser donati.

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