Piccoli Moraldo invecchiano

I vitelloni, film di Federico Fellini

Papà voleva che facessi come Moraldo, il protagonista del film I vitelloni, di Fellini. “Metti la testa fuori dalla caverna” mi diceva. Per questo mi propose di imbarcarmi sulle navi della Grande Compagnia Petrolifera. A me Moraldo piaceva. Soprattutto la scena di quando prende il treno e lascia la città a quei pataca dei suoi amici. Anche se all'epoca, pur avendo già visto il film, non l'avevo capito appieno. Forse perché non avevo capito Rimini così come la conosco ora. Non avevo la maturità, ma la curiosità sì. Presi il libretto di navigazione e mi imbarcai, tra la fine della scuola e il servizio militare. Poi però, dopo il militare, l'imbarco non c'era più: sbagliai le pratiche per lo sbarco a causa del militare e il posto non me l'avevano lasciato. E c'era la crisi. Come oggi.

Papà voleva sempre che mettessi la testa fuori dalla caverna e mi propose poi un imbarco su una nave Bp o non so di quale altra compagnia petrolifera. Nell'oceano Indiano. A dirla tutta non apprezzava nemmeno che facessi il marinaio sui pescherecci di Rimini, dopo il militare. Ma io di andare a fare il mozzo su una nave battente bandiera inglese, proprio non mi andava. Avevo visto come trattano gli stranieri sulle navi. Vieni dopo di tutti. Sul Ragno dovevo gestire io i filippini, quando eravamo nel Mare del nord, perché ero l'unico della cucina che parlava in inglese. Una sera li avevo lasciati liberi per finire io i lavoretti in cucina e il cambusiere si incazzò: te sei italiano, tu vai via, loro restano a fare il lavoro. Va bene. E avevo visto anche come discutevano le robe tra di loro: durante un litigio, mentre li stavo dividendo, uno di loro tirò fuori il coltello. Non è bello il primo piano di una lama. Per cui, di finire su una nave inglese, nell'oceano Indiano, con inglesi, filippini, indiani, pakistani e chi più ne ha più ne metta come ultima ruota del carro, mozzo appunto, beh, preferivo di no.

Però 'sto tarlo di Moraldo, papà a parte, ogni tanto tornava fuori. Solo che di andare in giro a fare l'operaio o il cameriere o il cuoco o non so cosa, non mi andava. Negli anni '80 si andava a Londra, tanto il lavoro si trovava. Ovviamente quello che gli inglesi non volevano fare: il cuoco, il cameriere ecc ecc. Come da noi oggi. Solo che noi arriviamo con 20 – 30 anni di ritardo. Ma loro non c'hanno quei coglioni della Lega, le stesse cose le fanno (senza dirle) con stile. Del resto, loro un impero coloniale lo hanno avuto sul serio, mica come noi che ci siamo fermati alle operette e ci sono venute pure male. E per questo saltai anche il gran tour – o la fuga di cervelli, come la chiamano ora - degli anni '80.

Qualche anno fa ero in giro per la Scozia. Mi venne in mente di andare a curiosare a Edinburgo per vedere se c'era qualcosa da fare lì di più interessante che controllare i resi dei librai a metà prezzo per la Grande Azienda di Distribuzione Libraria di Santarcangelo. Lì c'è una colonia nutrita di italiani, ma non era certo il mercato delle pizzerie che mi interessava. Per cui feci un giro informativo all'Istituto di Cultura Italiano. Così, per capire se per un giornalista c'era qualcosa da fare in quelle terre meravigliose ma decisamente freschine. Le impiegate erano gentili, ma poco collaborative in informazioni oltre alle pratiche che svolgevano. Non furono loro la causa dirimente dell'eclissi del sogno di Moraldo. Il colpo di grazia lo diede il tempo: sette giorni di pioggia e tre di coperto - in piena estate - su 10 furono letali.

Un'altra briscola non indifferente al povero Moraldo venne l'anno scorso. Dopo una settimana di dieta stretta anglosassone, fatta di sandwich o altri piatti immangiabili alla mensa dell'ospedale di Dundee, feci i salti di felicità divorando un piatto di spaghetti di riso presi al take away scoperto in qualche anfratto di un quartiere poco distante. Per non dire della liberazione quando con mia zia Rita armeggiammo nella coproduzione di un salvifico ragù intergenerazionale, per rinfrancarci da giorni di dolore e pasti informi. Noi, decisamente non razzisti in fatto di gastronomia. Forse sarò deludente dopo questo lungo panegirico - magari nemmeno bello – scritto dopo aver letto l'ennesimo resoconto pro o contro la fuga di cervelli, o più verosimilmente di braccia, all'estero. Ma mi piacerebbe pensarmi o sognarmi in un posto diverso - magari migliore, magari peggiore - se posso fare qualcosa, qualsiasi cosa, più interessante di ciò che faccio qui. Anche senza il ragù.

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