U. S.

Torre dell'Orso, frazione di Melendugno, Salento, Puglie

Siamo arrivati mercoledì alle 7, partiti alla spicciolata ed arrivati insieme, ancora impreparati ad entrare in ferie, increduli o quasi pronti a ripensarci. Torre dell'Orso, frazione marina di Melendugno, Lecce. E il tempo della fuga è già finito, né troppo presto né troppo lungo. Solo trascorso, placidamente e senza tanti programmi, così come veniva: bene. Andrea è già ripartito, ieri notte all'una - dopo lo ska dell'Heineken jamming festival, in mezzo ad una campagna sconosciuta e affollata di freak e dred, aromi tetracannabinoidali e bellissime salentine - per arrivare a tappe non forzate a Rimini, richiamato dalla sua cooperativa. E mentre arrivano i bollettini via sms - arrivato, tutto ok, adesso dormo - io mi godo queste ultime ore in Puglia, tra Lecce, lo specchio d'acqua di Torre dell'Orso e l'agricampeggio Lama, questi ultimi due i cardini della mia metamorfosi ormai evidente. Niente più grugno e sguardo perso nel casino, ora mostro una pelle arrossata che mi rende un quasi credibile riminese, anche se a chiazze doloranti. La cura di sole, mare ed improvvisazione, pur ridotta dal mercoledì alla domenica (compresa), pare abbia sortito i suoi effetti.

Ho concluso quel poco che mi ero prefissato in così pochi giorni, una puntatina a Lecce - "perché il Barocco leccese non puoi non vederlo" mi ha ammonito l'onnipresente Laura alla reception, giovane praticante che con papà Mario, mamma Giuseppa, sorella Carla (incinta, ormai è ora di farlo il nuovo tsunami dopo il piccolo Giulio, ma a vederla non si direbbe, leggera e serafica com'è in mezzo al bollirone del campeggio). Avevo voglia di muri spessi e scorci sul mare, abbiamo montato la tenda in un agricampeggio, Lama, www.agricampeggiolama.it, un'azienda agricola a un km dal mare, le tende tra il fresco dei pini, posate su un tappeto di aghi e, la notte, il canto dei grilli. Hanno anche bungalow e un trullo, non quelli tondi di Alberobello, qui sono squadrati, pietre montate a secco che tengono fresco d'estate e caldo d'inverno. Ti accolgono con gentilezza, davanti alla reception - bar con cucina annessa, le regole per far rimanere, pur con tanti giovani, il posto tranquillo, raccontano del loro orto e del grano che coltivano nella tenuta, dove producono gli ortaggi, allevano polli e altri animali, la base della loro cucina che, dopo il primo assaggio, ti fa snobbare i pochi ristoranti del paese. Poi, ti senti a casa. Tutti intenti nella loro ospitalità, steso sulle amache li guardo lavorare, caffè cappuccini registrazioni regolamenti, a far la spola tra la cucina e i tavoli, un sorriso all'andata e il concitato lavoro di ristorazione appena dentro il perimetro dell'edificio. E quando il bollirone è ormai finito, un motto, la battuta, un racconto, c'è sempre il tempo per conoscerti meglio, anche se il lavoro si accumula man mano che il campeggio si riempie per l'agosto ormai decollato. Scene vissute, come ogni riminese, che mi riportano indietro quando, ragazzino, mi infilavo nel retro della pensione Luisa in pieno servizio, un concerto di padelle e piatti e ordini concitati che si perdevano in quelli delle pensioni vicine, a Marina centro. E zia Maria, cuoca e anima della pensione Luisa, zdora come ce n'erano, (ce ne sono ancora?) tante in una Rimini che ti prendeva per la gola, ti avvolgeva di accogliente affabilità, una parola e un'attenzione per tutti. Ma non è Rimini qui, non è l'industria del turismo che in 500 metri riproduce un microcosmo di negozi essenziali - bazar, bar, ristorante, tabacchi, abbigliamento, borse, souvenir - che si riproduce all'infinito diventando muro di cemento e metropoli senza soluzione di continuità, qui siamo altrove, niente prosopopea da "capitale del turismo", macdonald del divertimento di massa che sposta le sue mandrie in discoteca con i vecchi pullman, pezzi interi di Nord Italia che le cataratte del Ferragosto fanno defluire tumultuosamente verso la Riviera, con gli stessi ritmi e le stesse perversioni, traffico, casino. No, niente industria, solo ospitalità e terra salentina, calore e sole. E pazienza se la prima connessione la trovo a Melendugno, "esci dal campeggio, giri a destra, 5 km", tanto distano le tonnellate di spam che mi regala quotidianamente la connettività globale. Qui l'andazzo è diverso, sei talmente benvenuto che sul parabrezza non trovi la multa perché il tagliandino del parcheggio non si vede bene. Trovi un foglietto da block notes, quadrettato, nemmeno prestampato, scritto al volo da un'ausiliaria del traffico che ti invita a posizionarlo meglio, perché rischi di essere multato. No, non è Rimini, per fortuna, spero che non lo diventi mai.

AcajaLecce, dicevo, questa mattina, con puntatina ad Acaya, cittadella fortificata color crema-pietra-leccese, girovagando per la campagna a uliveti e muretti a secco e feste paesane, perennemente sbagliando strada. Tana per Lecce, anche lei cremino calcareo rosicchiata dal tempo, tassellata di splendidi grotteschi, barocchismi ad ogni scorcio, bucherellata dal tempo e dai restauri che si incrociano ad ogni monumento, evidenti per il colore più vivo della pietra o per le impalcature. Sembra un plastico fatto di gelato, il lavorio di un gelatiere impazzito al quale è scoppiata la Carpigiani, mentre mantecava troppa crema. Bellissima e decadente, girata troppo in fretta e incamerata nella Canon, per riguardarmi con calma i ciuchini volanti sotto un balcone, il castello di Carlo V, cantiere e lounge serale nello stesso tempo, la multisala del ventennio, l'anfiteatro incassato nella piazza, quatto metri sotto. Quei gioiellini scompaiono man mano che ci si avventura nella periferia, certo meno decadente delle nostre, verso un appuntamento irrinunciabile: Sara che balla la pizzica. Andrea, che qui ci veniva a caccia da bambino con il nonno, è innamorato della pizzica. E non riuscivo a comprenderlo, fino ad oggi. Sara, liceale, barista, cameriera e membro della tribù dell'agricampeggio, va a scuola di ballo. Da mamma e papà ha mutuato la passione per la danza salentina, ma Andrea non è riuscito a vederla volteggiare mostrare la bravura che tutti le attribuiscono, ed è partito lasciandomi la telecamera: "la riprendo e te la porto a Rimini", un altro pezzo di ferie in flashback. Ultimo bagno nella cala all'ombra della torre diroccata, ultimo caffè in ghiaccio con latte di mandorla, ed ora l'ultima cena. "Ragazze, sono tutto vostro - ho detto alle tre cuoche, le stesse che ogni mattina ti salutano mentre vanno nell'orto dell'agricampeggio, raccolgono gli ortaggi e poi, come se niente fosse, attentano alla mia linea con certosina perversione, saturandomi di gusti salentini il palato. Di piatti ne ho provati, ho lasciato indietro la loro pasta, le "sagne 'ncannulate", mentre il vino sta diluendo pian piano la scrittura. Fino a fermarla.

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