Galleggiando nell'acqua

La scena finale del Moby Dick di John Huston

Dopo due anni 8 mesi e spiccioli, ho rimesso mano ai miei siti. Modificandoli completamente. Ci starebbe bene un echissenefrega, ma in realtà è stato un passo importante, per la Casa di Kikko, il sito e tutta la piccola galassia politico – informativa che, da poche ore, è visitabile sul nuovo server fornitomi da Servededicati.it. Sì perché non ci mettevo mano, a parte l'ordinaria amministrazione – un testo oggi, un testo ieri... - dall'agosto 2009, quando uno spartiacque si è frapposto tra me e il mio lavoro. Rimettere mano ad un territorio largamente inesplorato quale la gestione in proprio di un server o lo sviluppo di un sito in un'ottica professionale è stato, in qualche modo un ricominciare. Da capo.

Negli ultimi due mesi mi sono sbattuto per scrollarmi di dosso la ruggine accumulata in questi anni. Non ho scritto una riga, a parte le cazzate su Fb – perché davvero sta diventando un ricettacolo di cazzate, più che di cazzeggi – e il testo per mio fratello, unico rigurgito di scrittura al quale la contingenza mi ha vincolato. Senno, non avrei scritto neppure quello. Lo stesso per il web. Ed è cambiato al punto che mi sono trovato per le mani non un o strumento familiare – come era il mio Drupal – ma uno strumento nuovo, la cui curva di apprendimento, già prima abbastanza alta, in questi ultimi due mesi è diventata quasi una salita di Sisifo.

Non credo di aver perso tempo, nel frattempo. Non molto, almeno. Oppure occasioni. Niente che non si possa recuperare con qualche ora di studio extra. Non ho danneggiato nessuno, in fondo. Chi contava su di me ha continuato a farlo, ignaro di quel che succedeva, facevo o non facevo. I risultati credo siano più che dignitosi. Del resto, il lavoro è lavoro, siamo tutti intercambiabili, più o meno. Ma questi territori, dal giorno dell'infarto, non erano più i miei. A Leonardo Montecchi, un caro amico, ho raccontato un sogno strano: galleggiavo sulle acque adriatiche, al largo di Cervia o di Ravenna. Un mare calmo, forse al tramonto. Sapevo di essere lì ma le piattaforme non c'erano più. Giusto i pali riconoscevo, che affioravano per pochi centimetri. Il sogno di un sopravvissuto l'ha definito, un immagine che riaffiora quando guardo la scena finale del Moby Dick di John Huston, mentre Ismaele galleggia aspettando la Rachel.

In questi due anni ho esplorato altri territori: mi sono misurato, di nuovo, con il lavoro dipendente, in una cooperativa sociale. Un sano stacco che mi ha permesso di riprendere possesso (?!) del mio corpo, e ri – conoscere un ambiente diverso, meno raffinato forse, più sincero ma sopratutto reale. Probabilmente, però, è tornato il momento di riprendere qualche vecchia abitudine.

 

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