Prima contare, poi pubblicare
Ho ritrattato un post, che terminava con una domanda, trattenuta lì da qualche scrupolo, o superIo come direbbe Franco, al termine di una vigorosa infuriata. E mentre Circe mi versava la sua pozione - un chianti, abbandonato morbidamente nel bicchiere, come il suo sguardo e le sue dita inanellate da una moneta antica – trovavo nel suo piano americano e nelle ancor più accomodanti movenze la risposta: sì, ho peccato. D’ira. Un peccato capitale. Il peggiore, perché si potrebbe tranquillamente superare, o evitare di scontare, se solo ricordassi la più elementare delle cose: contare. E’ un tempo simultaneo il nostro, scrivere e pubblicare è ormai un tutt’uno, se solo si ha voglia e dimestichezza - basta poca - con i mezzi meravigliosi e potenti che alcune menti e il mercato, lui ben più accomodante, ci lasciano. Senza più rete, senza più correttori, si pubblica ormai senza tutori, senza nessuno che guardi tra le righe se tra il tuo pensiero e il mezzo c'è la coscienza, oltre alla conoscenza. Con naturalezza, più rapide dell’accostare le labbra al vino o all’acqua, le parole possono volare tanto lontane da darti sfogo e quiete. Più del vino e dell’acqua, più di quelle raccontate a un orecchio amico, adulto quanto basta a sussurrarti tra le righe che hai esagerato, giovane a sufficienza per dirti che anche a questo c’è rimedio. Perché tutto sommato qualcosa all'ira non hai ceduto, un poco di caratteri e una vecchia lezione. Almeno quella, sedimentata.